sabato 26 marzo 2011

11 IL MONDO CONTADINO. I SEGRETI E LE ERBE DELLE NONNE - COME FARE IL FORMAGGIO DI CAPRA

XI Capitolo
Il mondo contadino. I segreti e le erbe delle nonne e come fare il formaggio di capra.

…Fino ad una quarantina d’anni fa, l’Italia era un paese prevalentemente contadino: una larga maggioranza della sua popolazione viveva in stretto legame con la terra e con il lavoro agricolo, in particolare nel nostro territorio, allevamento del bestiame, vigneti, castagneti, avena orzo, frutta ed ortaggi. Da allora le cose sono molto cambiate. L’intensa industrializzazione ha richiamato nelle fabbriche e nelle città un numero assai elevato di addetti all’agricoltura. La popolazione dell’alto vergante si è, in linea di massima, notevolmente ridotta; i terreni economicamente più poveri sono stati abbandonati (spesso con non pochi danni per l’equilibrio ecologico del territorio), mentre in quelli più redditizi i metodi di sfruttamento sono profondamente mutati grazie alla meccanizzazione e alla motorizzazione, che, se da un lato richiedono investimenti notevolissimi, dall’altro permettono una riduzione notevole della manodopera; l’agricoltura si trasforma e assume, nel suo insieme, anche se in varie zone permangono condizioni più arretrate, un carattere spiccatamente industriale. Da tutto ciò, e dagli enormi problemi che questa rivoluzione ha suscitato, il mondo contadino tradizionale, in cui si identificava una così larga parte della storia e della cultura del nostro Paese (anche se fino a tempi non molto lontani gli storici non gli hanno dedicato tutta l’attenzione che richiedeva è uscito profondamente mutato, sconvolto.
Inserire dipinto dedicato alle mondine 24enne emigrava nel novarese nel periodo della monda del riso (1942)..
Conosciamo, paradossalmente, molto bene e molto male al tempo stesso; è, in ogni caso, un mondo ricco d’interesse umano e storico, una straordinaria somma d’esperienze culturali che ha lasciato tracce profonde in noi e intorno a noi, e che è ancora possibile imparare a conoscere direttamente, attraverso i contatti con chi a questo mondo ha appartenuto o ancora appartiene. Nell’avvicinarsi alla cultura e alla società contadina tradizionale (ma sarebbe molto meglio dire alle culture e alle società contadine, data la varietà d’aspetti dell’agricoltura “preindustriale” del nostro Paese, sarà opportuno liberarsi da un certo numero di pregiudizi, più o meno banali, negativi o positivi. Per esempio: molto spesso si sente esaltare la “vita sana” condotta dai contadini del passato. Eppure, rispetto ai nostri standards attuali, quell’esistenza era, senza alcun dubbio, tutt’altro che igienica: le case erano quasi sempre umide, prive di riscaldamento e di qualsiasi forma di impianti sanitari; l’acqua doveva essere attinta a pozzi a volte inquinati o a sorgenti molto lontane; le strade erano polverose o fangose, il lavoro si svolgeva in condizioni climatiche per lo più intollerabili. E soprattutto l’alimentazione era, in moltissimi casi, del tutto carente: la carne e le altre proteine erano quasi del tutto assenti, e i cereali stessi sovente avariati. Tutto ciò aveva conseguenze gravissime sullo sviluppo fisico, sulla salute e sulla durata della vita dei contadini. Di tutt’altro tipo è un luogo comune che ritiene il mondo agricolo del tutto statico, immobile nel rispetto della tradizione e impermeabile a qualsiasi innovazione. In quest’idea c’è un elemento di verità: il mondo contadino tradizionale offriva una certa resistenza alle novità specialmente rispetto alle tecniche di coltivazione perché le sue precarie strutture economiche, la grande scarsità di denaro liquido e l’impossibilità di costituire delle scorte alimentari date le bassissime rese consentite dai metodi agricoli, rendevano in pratica improponibile una sperimentazione, con tutti i rischi d’insuccesso che ogni sperimentazione comporta, di nuovi sistemi di coltura. D’altro canto noi vediamo che negli ultimi secoli il mondo contadino ha in realtà accettato, e spesso molto rapidamente, tutta una serie di innovazioni, giuntegli in qualche modo dall’esterno, che hanno contribuito a dar luogo a una profonda evoluzione dell’agricoltura tradizionale, anche prima dell’intensa tecnicizzazione che l’ha interessata dall’Ottocento a oggi. Basti pensare a tutte le piante alimentari, prima sconosciute da noi, come il granoturco, il pomodoro, la patata, che sono state “accettate”, dall’epoca della scoperta dell’America al secolo scorso, ad un punto tale da modificare, in modo radicale, le abitudini alimentari dell’intero Paese. L’evoluzione interna del mondo contadino è in ogni modo tendenzialmente lento: la cultura contadina tradizionale sembra, infatti, collocare i propri modelli nel passato più che nel futuro, soprattutto là dove la società appare chiusa, economicamente e geograficamente e perciò relativamente estranea a stimoli esterni come l’immigrazione e l’emigrazione, il commercio, i contatti culturali e così via. In realtà, una condizione di “chiusura” di questo tipo si riscontra raramente: anche se, in effetti, nell’insieme, le popolazioni delle campagne hanno usufruito di minori scambi culturali degli abitanti delle città, e anche se molte comunità hanno prediletto forme di autosufficienza economica che avevano insieme come effetto e come causa una condizione di isolamento rispetto ai centri urbani (magari anche quando questi centri si trovavano, geograficamente, a distanze modeste). Assai frequentemente, e da tempo, l’autosufficienza economica è stata un traguardo magari auspicato dai membri della comunità, ma in realtà ben lontano dall’essere raggiungibile. Si sono rese dunque assolutamente necessarie delle forme d’integrazione del reddito fornito dalla coltivazione della terra e dall’allevamento del bestiame, tali da fornire una certa quantità di denaro liquido che permettesse di procurarsi i beni non producibili localmente (oltre che di pagare le tasse, spesso molto gravose, gli affitti ecc.). Senza tener conto del fenomeno dell’emigrazione definitiva verso paesi lontani - che per altro ha inciso in modo particolarmente pesante sulla popolazione agricola italiana - dobbiamo osservare che tutte queste forme d’attività integrative sono rese possibili dal fatto che il lavoro agricolo comporta, per sua natura, grosse differenze d’impegno secondo le stagioni: ai ritmi pesantissimi e frenetici richiesti per esempio dalla mietitura e dalla trebbiatura del grano si contrappongono i periodi invernali di quasi inattività. D’altra parte non va dimenticato che il peso spesso massacrante dei lavori a carattere “integrativo” andava ad aggiungersi ad un carico - quello delle fatiche dei campi - già per sua natura assai gravoso. Diamo alcuni esempi di queste attività che potevano comportare un’emigrazione stagionale: come, i lavori di mietitura del grano, compiuti da montanari che scendevano nelle grandi tenute della pianura, o quelli di trapianto e monda del riso, effettuati prevalentemente da donne e ragazze che si procuravano così il denaro per la dote. Ma esistevano accanto a queste anche forme di emigrazione stagionale che comportavano spostamenti molto maggiori: per quanto possa sembrare incredibile, infatti, numerosi lavoratori agricoli affrontavano, nei mesi invernali, il lunghissimo viaggio che li portava nell’interno del Brasile (nell’emisfero meridionale nello stesso periodo è estate) per raccogliere caffè e ritornare in Italia in tempo per le semine! Altre forme d’integrazione economica erano date dallo sviluppo di alcune attività artigianali locali, svolte soprattutto dagli uomini (gli ombrellai) mentre delle attività agricole e di allevamento, caso molto caratteristico di divisione dei ruoli secondo il sesso, si occupavano prevalentemente le donne. Ve ne sono innumerevoli esempi, per lo più nelle aree alpine. Spesso, i prodotti di queste attività erano poi smerciati in altre regioni da membri della comunità che si trasformavano per l’occasione in mercanti ambulanti. Anche il lavoro in fabbrica è stato ed è da molto tempo, almeno in alcune zone, una attività integrativa di quella agricola: tipico è il caso del lavoro della filanda ( Le ragazze da marito andavano a lavorare in filanda a Lesa), quasi esclusivamente femminile. E opportuno notare che anche l’allevamento domestico del baco da seta per la vendita dei bozzoli aveva un tipico carattere integrativo ed era un’attività stagionale che impegnava per un mese con ritmo frenetico.
Dal punto di vista delle strutture economiche e sociali, il mondo contadino tradizionale appare profondamente diverso: e a tali differenziazioni corrispondono, non va dimenticato, altrettante profonde diversità di cultura e di mentalità. Non è certo possibile mettere sullo stesso piano un contadino piccolo proprietario, un mezzadro, un bracciante: infatti, i loro atteggiamenti nei confronti del lavoro, della politica, della religione saranno senz’altro molto diversi. Anche le strutture familiari sono assai dissimili: si va dalla famiglia nucleare in cui sono presenti solo i genitori e i figli non sposati, a formazioni assai più complesse, inglobanti addirittura decine di persone, sotto l’autorità, spesso ferrea, dell’anziano patriarca ( mio bisnonno Guglielmo). Tutto ciò ha riflessi notevoli sulle strutture abitative: non è possibile comprendere veramente il senso dell’architettura tradizionale, i cui esempi, nonostante lo scempio che n’è stato fatto, sono ancora numerosi intorno a noi, se non si conoscono le strutture famigliari della comunità che le ha prodotte. E d’altro canto, è anche molto importante prendere in considerazione la disposizione dell’abitato: è evidente infatti che i rapporti umani potranno essere assai diversi in un grosso villaggio a struttura accentrata, e in una comunità costituita da piccole frazioni ( come di fatto è avvenuto a Brisino dopo lo scioglimento del comune 1880) o da case sparse. Lo sì vede fra l’altro nella celebrazione d’alcuni rituali tradizionali: se l’abitato ha una struttura compatta, il Carnevale, per esempio, si terrà nella piazza, e la gente vi si radunerà per assistervi, mentre se le case sono sparse, si formeranno gruppi mascherati che andranno di casa in casa, entrando nelle singole abitazioni e instaurando così un rapporto molto diverso col loro pubblico. Il mondo rurale conosce tutta una serie di spazi che, in modo non necessariamente specifico, anzi solo eccezionalmente tale, sono destinati ai contatti e agli scambi tra i membri della comunità. Questi luoghi d’incontro e di comunicazione, importantissimi per l’integrazione culturale del gruppo, sono innanzi tutto la chiesa, la piazza e l’osteria. Vi si svolge gran parte della vita cerimoniale sia religiosa sia profana; nella piazza hanno sede anche le fiere e i mercati, a volte legati a festività religiose, occasioni sia di scambi commerciali (teniamo presente che negozi veri e propri erano, e in parte sono ancora, rari nell’ambiente rurale) sia di contatti con membri d’altre comunità, spesso unica occasione (accanto ai pellegrinaggi religiosi es la madonna del Bodem ecc.) in cui si usciva dal proprio ambiente di villaggio per visitare altri centri. Le fiere e i mercati ( Stresa, Arona, Borgomanero ed Intra erono i più frequentati) vedevano, e vedono, la presenza di professionisti dello spettacolo popolare, come i burattinai e i cantastorie, le cui esibizioni hanno avuto per secoli una funzione estremamente importante nella diffusione di innumerevoli temi della cultura popolare. Accanto alla piazza, l’osteria rappresenta un luogo d’incontro di grande importanza, soprattutto per gli uomini: in particolare, essa è una delle sedi in cui si elabora e si trasmette il canto corale. Un tempo aveva importanza ancora maggiore, come centro di comunicazione culturale, la stalla. Nelle serate invernali, infatti, le persone vi si riunivano, approfittando del calore emesso dai bovini, per fare insieme piccoli lavori manuali (le donne soprattutto per filare) e per conversare, per cantare, per ascoltare persone che, talvolta a titolo quasi professionale, recitavano favole o leggevano ad alta voce libri particolarmente apprezzati dal pubblico popolare, quali Guerrino il Meschino o Genoveffa del Brabante. Questa pratica, in epoche di grande analfabetismo, ebbe notevole importanza per la diffusione di una certa conoscenza della lingua italiana dato che, come del resto è noto, mezzo quasi esclusivo di comunicazione nel mondo popolare era, fino a non molti anni fa, il dialetto locale e per noi il Tarùsc. Vediamo, nelle attività svolte durante queste riunioni nella stalla, un caratteristico coesistere di attività lavorative e di svago. E infatti un tratto tipico della cultura contadina tradizionale, del tutto normale, che attività di lavoro a carattere comunitario (in cui intervenivano consuetudini di reciproci scambi di mano d’opera) assumessero l’aspetto di gioco, di gara, di spettacolo. Per esempio nella scartocciatura delle pannocchie di granoturco, eseguita manualmente sull’aia, i partecipanti si riunivano intorno al mucchio, al centro del quale erano nascosti dei fiaschi di vino. Chi dunque era più rapido nel lavoro (che si svolgeva tra canti e scherzi d’ogni genere) arrivava per primo ai fiaschi, e poteva impadronirsene. Un caso molto singolare, cui si accenna nel capitolo concernente alle feste, è quello della mietitura, in cui, in alcune località, quel pesante lavoro era trasformato in uno spettacolo: una “caccia” a un animale, in realtà un uomo camuffato, che si nascondeva tra il grano. Un modo, anche questo, per rendere psicologicamente accettabile la fatica. Perché il mondo contadino, è il caso di ricordarlo ancora una volta, era dominato dalla fatica. Per rendersene conto, basta ancora oggi guardarsi intorno e osservare quanto profondamente il paesaggio del nostro Paese sia stato segnato e trasformato, nel corso dei secoli, o dei millenni, dal lavoro agricolo: una ricerca in cui può fare da guida il libro, assai noto, di Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano. Non sempre il segno della fatica umana è immediatamente percettibile: molti, per esempio, crederanno che i boschi di castagno siano formazioni naturali, e che l’intervento dell’uomo su di essi consista solamente nel raccoglierne i frutti. Non è così: il castagneto è una formazione totalmente artificiale, e per essere produttivo richiede che le piante siano innestate, potate, concimate ogni anno, sostituite ad intervalli opportuni, che il suolo sotto di esse sia tenuto sgombro e pulito. In altri casi l’intervento dell’agricoltore è più evidente: pensiamo alle fasce, terrazzamenti ( quasi tutti i nostri vigneti) sostenuti da muri a secco in pietra che rendono possibile, per esempio in Liguria, la coltivazione di pendii anche molto ripidi. Esse sono testimonianze di un lavoro enorme, fatto tutto a mano, o al massimo con l’aiuto di muli: lo spaccare le pietre, l’erigere i muri, il trasportare e livellare la terra che essi sostengono. Nelle zone pre-alpine, la terra sui pendii è continuamente erosa dalle piogge e ogni anno, le donne la dovevano ri-trasportare in alto per mezzo di gerle portate a spalla la stessa cosa per la concimatura. Anche le grandi opere di irrigazione, realizzate in epoche anteriori alla meccanizzazione con sforzi immensi, hanno completamente mutato l’aspetto del territorio. Oggi molte sono all’abbandono.
Esse sono il risultato dell’applicazione di tecniche e d’osservazioni spesso geniali, come nel caso delle marcite, in cui il terreno è lavorato in modo che l’acqua, proveniente da una roggia, si distribuisca sui prati, in uno strato sottile che circola continuamente proteggendo l’erba dal gelo invernale e permettendo di aumentare i raccolti del foraggio, con grandissimo vantaggio per l’allevamento del bestiame. Le conoscenze tecniche, che formavano il patrimonio culturale dell’agricoltura tradizionale, sono il risultato di un’evoluzione molto complessa, di cui nessuno ha ancora tracciato la storia nei particolari. Nelle descrizioni delle credenze contadine i folcloristi, compiendo una grave ingiustizia nei confronti del mondo tradizionale da loro studiato, e un errore scientifico, hanno spesso sottolineato, in modo quasi esclusivo, gli aspetti “irrazionali”, magici, superstiziosi, del sapere contadino, trascurando di mettere nel dovuto rilievo quelli razionali, che sono invece preminenti. Questo non significa che nella cultura contadina tradizionale non vi siano tratti per la nostra mentalità, privi di base scientifica. Ne sono esempio i numerosi mezzi per proteggere i raccolti attuati attraverso rituali proposti dalla chiesa cattolica (dalle processioni per le rogazioni agli scongiuri compiuti dal sacerdote contro la grandine) o con pratiche di natura spiccatamente folclorica, e di carattere più o meno esplicitamente magico. Il ricorso a questi sistemi è dovuto in gran parte alla sensazione di impotenza che non può non cogliere il coltivatore di fronte agli innumerevoli rischi: gelo, siccità, grandine, malattie delle piante e degli animali, tanto per non citarne che i principali, che minacciano di privarlo del frutto delle sue fatiche, e dei mezzi stessi di sussistenza. Comune in tutta Italia, i contadini tengono particolarmente conto, nei lavori agricoli, ma anche in molte altre attività, delle fasi della luna, infatti, si ritiene che il satellite della Terra eserciti un influsso su tutto ciò che vive e cresce: perciò, per esempio, si seminano “in luna crescente” gli ortaggi, per favorirne lo sviluppo, mentre il legno si taglia “in luna calante” perché, così facendo, si eviterà che esso si tarli. Gli “esperti” negano che tutto ciò abbia una qualunque base “scientifica”; i contadini ribattono che la loro esperienza conferma invece puntualmente la credenza. Un esempio abbastanza illuminante, tutto sommato, della distanza che separa questi due mondi. Ma ciò non significa certo che non vi sia uno scambio tra il sapere degli scienziati e il sapere tradizionale dei contadini; che anzi tale scambio è sempre stato intenso, e nei due sensi. Già in passato, mentre gli agronomi attingevano continuamente alla somma d’esperienze tecniche dei coltivatori, le acquisizioni della scienza agronomica, nel campo delle pratiche e degli strumenti di lavoro della terra, filtravano più o meno lentamente nel mondo contadino. Manca qui lo spazio per indicare, anche soltanto nelle linee generali, quali sono stati i procedimenti e gli strumenti tipici dell’agricoltura italiana prima della meccanizzazione e motorizzazione, che hanno, come è ovvio, portato alla scomparsa dei vecchi attrezzi, realizzati da artigiani locali o dagli stessi coltivatori. Essi corrispondevano, naturalmente, alle varie fasi della preparazione del suolo (i vari tipi di vanghe, di zappe, e d’aratri, assai diversi tra loro, per rompere il terreno e tracciare i solchi; gli erpici, per frantumare le zolle e ricoprire il seme sparso a mano o con seminatrici) e poi della raccolta (la mietitura, la fienagione) e della trebbiatura. Molto vari, sono poi sia gli strumenti destinati alla trasformazione di particolari prodotti (come le piante tessili, il lino, la canapa, o le olive) sia le attrezzature destinate alla vinificazione e alla macinazione dei cereali. Un’ottima guida alla conoscenza delle tecniche agricole tradizionali è la vasta opera dello studioso svizzero, Paul Scheuermeier, tradotta in italiano col titolo Il lavoro dei contadini. Oggi poi, un po’ dappertutto, sono sorti e sorgono musei contadini, che, spesso, nati per iniziativa locale, forniscono un’eccellente documentazione su un mondo che sarebbe ingiusto dimenticare. Da qui partiamo per descrivere il sapere delle bisnonne, delle nonne per la cura nella raccolta delle erbe che tanto hanno fatto parte della medicina e della tavola contadina.

Oltre i segreti delle erbe che le nostre nonne ne facevano uso in abbondanza, per meglio comprendere basta leggere le ricette di “Mamma Gin”. Andremo oltre e vedremo come hanno utilizzato le erbe soprattutto di là delle Alpi. La maggior parte delle erbe aromatiche crescono sulle colline intorno al lago, le nostre nonne lo sapevano e le utilizzavano, nella cucina e nei famosi decotti, c’era un rimedio per tutto. In questo testo andremo oltre il nostro territorio, per cercare di collegare il sapere delle nostre nonne con l’Italia e l’Europa, molte usanze sono simili, cambia il modo di rappresentarle, bisogna dire che noi non siamo mai stati bravi a valorizzare la nostra immagine. Amica delle erbe aromatiche, la cucina lo è sempre stata, ma, com'è detto, limitata però, specie fino a pochi anni fa, alle cosiddette “grandi erbe” (salvia, rosmarino, prezzemolo, basilico, alloro, origano. Questo, in contrasto con i vecchi ed antichi tempi, nei quali le scelte erano più estese; si ricorreva più frequentemente, ad esempio, all'erba cipollina, all'aliaria, alla borragine, al cerfoglio.... come fanno fede i ricettari dì base della nostra cucina “regionale”. Da noi oggi, il dragoncello è scarsamente utilizzato ed anche il prezioso timo patisce un certo abbandono, lo sostituisce l'origano più mediterraneo e in minor misura la maggiorana, mentre trattasi di un aromatizzante potente (utilizzarlo con discrezione) ed insieme finissimo, che non ha l'asprezza della salvia, e che può entrare in numerosissime preparazioni di cucina. Talvolta sono le abitudini tramandate che escludono l'uso dell'una o dell'altra varietà, e talvolta i cambiamenti nei modi di vita determinano la fortuna o il decadimento di certi usi. Così in Europa, la menta non ha mai goduto molta simpatia in cucina, salvo che in limitate zone; in Italia la diffusione della pizza ha reso popolare l'origano anche dove era quasi sconosciuto; e il consumo del rosmarino ha pure preso grande slancio; i macellai vendono carni e pollame già accompagnati da ramoscelli di questa pianta; c'è chi dice che ora di tale consumo si esageri.
Nei testi antichi, ricchi oltre che di ricette, d’interessanti e talora ingenue annotazioni in materia, si esaltava l'uso delle erbe: aneto, biete, buglossa (o borragine), dragone, menta, petrosello (prezzemolo), pim-pinella, ed “ altre erbuccie” - ci dice lo Scappi (1958) (1) “ delicate nella primavera che è la lor vera stagione ”. L'autore aggiunge che «in inverno, quando le dette erbette son più dure, si potranno far prima per lessar con acqua, et da noi cavarsi, e struccíarsi fuora l'acqua». Tali “erbette” sono particolarmente presenti nelle tante minestre di quei tempi, sempre robuste di brodi, spezie, uova, e cacio. Un “Trattato dei cibi et del bere” del 1589 precisa che l'acetosa “ sia nata e coltivata negl’orti e non nelle campagne “ e che tale erba è «molto grata nelle insalate crude, mescolata, per rispetto al sapor brusco ch'ella tiene “ . Del dragoncello lo stesso libro annota: “ è la migliore erba che si adoperi per fare il sapore ”, « mangiasi in compagnia dei fiori della Borragine, con l'indivia, o con la lattuga, o con altre herbe”. Interessante è poi notare come il prezzemolo abbia goduto in antico tanta preferenza, al pari di quella riservatagli attualmente. “Il Petrosello”, anticamente si chiamava - Appio de gli orti -, ed era in uso, com'è ancor oggi quasi in tutte le vivande, che ricercano condimento d’erbe odorifere, e saporite e veramente pare che quest'erba sia preferita all'altre, tanto quanto ch'entra nelle salse, nelle minestre, nei guazzetti, negli intingoli, e in tutti gli altri condimenti, di maniera che pare che non si possa far cucina senza il petrosello». Oggi l'impiego delle erbe in genere, medicinali o per la cucina, è di molto aumentato, in conseguenza dei rivalutato ricorso alla fitoterapia, della maggior diffusione dell’erboristeria e dell'imitazione dei modelli gastronomici della “nouvelle cuisine” (o “ cucina creativa “) proposta negli anni '50 da un gruppo di qualificatissimi chefs di cucina francesi (che del resto erano ispirati dalle loro stesse tradizioni culinarie). Il vecchio rimedio della nonna in disuso nel periodo del boom economico del secolo scorso, torna con forza nelle nostre abitudini. L’uomo dopo aver distrutto la natura faticosamente torna a guardare il cielo, l’acqua, la terra.

1 «Opera di M. Bartolomeo Scappi, Cuoco Secreto di Papa Pio Quinto, divisa in sei libri. In Venetia, 1598».
2 «Trattato dei cibi et del bere dei Signor Baldassar Pisanelli Medico Bolognese, ove non solo si tratta delle virtù de' cibi, che ordinariamente si mangiano, e de' vini che si bevono, ma insieme s'insegna il modo di corregger i difetti, che si trovano in essi, per mantener la sanità. In Carmagnola, 1589».

Questa parte è dedicata alle nostre nonne ed a quei Brisinesi che si sono fatti onore in giro per il mondo nell’industria dell’ospitalità, ai bravi cuochi, ai maestri dell’accoglimento, a chi ha fatto della ristorazione un arte, in Italia e nel mondo, non dimenticando le loro origini. Ricordarsi di inserire i nomi.
La cucina transalpina, dà molta importanza all'impiego delle erbe, che, com'è intelligente costume di quella cucina, prendono risalto dal nome stesso dato al piatto: Ad esempio: “crème d'oseille ( acetosella ) à l'avoine”, “ purée cressontere “, “ crème à l'estragon “, “ poulet à l'estragon “, “ oeufs en gelée à l'estragon “, “omelettes aux fines herbes”, “raie (razza) à la crème au persil”, “anguille au vert “, ecc. Finissima la crema al dragoncello: si fanno bollire un etto e mezzo di foglie di dragoncello fresche e tritate in un mezzo litro di vino bianco, fin quasi a riduzione completa del vino stesso. Si aggiunge un mezzo litro di besciamella piuttosto densa, del sale e del pepe. Dopo breve ribollitura si passa al setaccio, e si stempera un pochino di burro nella crema così ottenuta. Se poi si volesse unire alla crema della purea di patate (il doppio in volume), avremo la “ purea al dragoncello “. A proposito delle sopraccitate “fines herbes”, l'Escoffier vuole che per I' “omelette aux fines herbes” la nota aromatica non sia costituita dal solo prezzemolo tritato (qualcuno pretende di identificare “fines herbes” con prezzemolo) ma costituita da un insieme di aromi dati, oltre che dal prezzemolo, dal cerfoglio, dall'estragon e dall'erba cipollina. Si richiedono dunque quattro erbe aromatiche. Nei riguardi poi della ricetta concernente la razza, una formula questa tipicamente regionale della Normandia, si nota che essa dimostra tanta considerazione e rispetto per il buon profumo del prezzemolo, da consigliare di tagliarlo nel fondo di un bicchiere con le-forbici. E così pure merita ricordare il piatto d'anguilla succitato (l’anguille au vert ), un piatto d'antipasto freddo, che richiede l'impiego e l'armonizzazione di diversi aromi: Acetosella, pimpinella, dragoncello, prezzemolo, salvia: queste erbe, insieme ad alcune foglie di spinaci e a foglie tenere di ortica, sono fuse al burro per costituire il fondo di cottura dei pesce (tagliato a tronconcini) il quale è poi condito con sale e pepe e con una presa di timo e una di alloro ridotti in polvere. La cottura è poi ultimata con vino bianco e legatura di rossi d'uovo. Un piatto di prestigio, profumato - dunque - con nove varietà d’erbe. . ……….
Interessanti da ricordare sono pure il burro composto alle erbe.

Per il Chivry o Ravigote S’impiegano pimpinella, prezzemolo, cerfoglio e dragoncello (125 g, in partì eguali) insieme a scalogno (25 g.) il procedimento indica di scottare le erbe, raffreddarle, pressarle, quindi di pestarli nel mortaio aggiungendo lo scalogno già sbianchito a parte. Unire il burro (125 g.) e passare al telo fine.
Maitred'Hotel Per il burro – Maitre d'Hotel - assai noto - si utilizza solamente del prezzemolo tritato (una cucchiaiata per 250 gr. di burro). Si lavora il burro insieme al prezzemolo, al succo di un quarto di limone, al sale (6 g.) e ad una presina di pepe.
Burro Colbert Partendo dal burro Maitre d'Hótel si può pervenire ad un altro composto che sì chiama Burro Colbert. Basta incorporare nel precedente burro Maitre d'Hótel (200 g.), lavorando opportunamente, due cucchiai di ghiaccia di carne e un cucchiaio dì dragoncello tritato.
Montpellier ** Suggestiva e soprattutto gustosa la preparazione del burro Montpellier. Il “ Montpellier “ utilizza : crescione, prezzemolo, cerfoglio, dragoncello, erba cipollina (g. 100 in parti eguali); poi: foglie di spinaci (g. 25), scalogno tritato (g. 40), un guscio d'aglio, filetti di acciughe (8), cetriolini sott'aceto (3), rossi d'uova dure (3), rossi d'uova crude (3), capperi schiacciati (un cucchiaio), olio (2 dl), burro (g. 700). Il procedimento: scottare le erbe e a parte lo scalogno; pressare e pestare. Aggiungere gli ingredienti piccanti - capperi, aglio, acciughe; quando la pasta è alquanto fine, incorporare i rossi d'uova dure e crude, poi il burro e l'olio successivamente a piccole quantità. Mescolare con la frusta, passare al telo fine. Rinforzare il composto ottenuto con una puntina dì cayenna.
Montpellier ** Troveremo il nome di Monpellier nel libro delle ricette mediche di “Mamma Gin ”

Mentre noi per ragioni storiche ci siamo fermati nel sperimentare nuove vie in cucina dimenticando le tradizioni delle nostre nonne, ci dobbiamo felicitare con i Francesi per la loro indovinata espressione - bouquet garni - giustamente tradotta in italiano “ mazzetto degli aromi “, che contribuisce a dar merito alla funzione delle erbe in cucina. Vi sono tre tipi di bouquet, uno “ semplice “, formato solo da gambi di prezzemolo; uno “ medio “ che comprende prezzemolo, timo í lauro; il terzo, più forte, per salse e ragoút dí gusto rilevato, è formato da rosmarino, basilico, sedano, cerfoglio, dragoncello e salvia. Nel comporre “ mazzetto degli aromi “, (il bouquet garni) si terrà conto dell'aroma accentuato del timo e dell'alloro, e della necessità di impiegare due elementi io quantìtà minori rispetto ai rimanenti. Il mazzetto opportunamente legato, o la mussola che raccoglie gli aromi, offre la comodità di estrarre comodamente, dalle vivande ormai cotte, le erbe che non devono accompagnare il piatto. Il bouquet garni è impiegato per insaporire i brodi di fondo, le minestre a base di passati di verdure, i « court-bouillons », i crostacei ed anche anguille e lamprede, le marinate per pesci al vino bianco, i bolliti misti, i brasati alcune salse e ragoúts. Mette conto di vedere un istante la composizione gastronomica relativa a qualcuna di tali denominazioni. La minestra chiamata “ cressonière “ esalta l'impiego del crescione ed è semplice da farsi: la ricetta dell'Escoffier suggerisce di stufare al burro mezzo chilo di foglie di crescione fresco, che non abbia perso in sapore. In seguito si bagna la preparazione con un litro di brodo bianco chiarificato e si aggiungono 300 g. di patate tagliate a fettine sottili. Si fa cuocere. Quindi passare al telo fine, e mettere a punto la consistenza con dl. 2,1/2 di latte. Stemperare da ultimo un pochino di burro. Tale minestra sarà guarnita, con l'aggiunta di 50 grammi di foglie di crescione, 5 minuti prima di ultimare il piatto. Quel sapore piccantino proprio del crescione, che in un certo senso assomiglia anche a quello della senape, si presta inoltre ad essere gustato nei sandwich preparati con fette di pane a cassetta sulle quali, dopo averle imburrate, siano disposte foglie di crescione intere o tagliate a listarelle, così semplicemente o legate con maionese.
Intercostata di bue alle erbe.
Al di fuori dei canoni della cucina francese, ci sembra assai interessante citare l'esempio di una formula che, ispirata ai lidi dei nostri mari, laghi, montagne, sposa facilmente l'impiego delle erbe aromatiche - con gli altri prodotti rappresentativi di queste terre, quali l'olio e il pomodoro.
Si tratta, infatti, della ricetta intitolata “ Intercostata di bue alle erbe “, così preparata:
• Salata e pepata si lascia l'intercostata sott'olio per almeno mezz'ora; si fa quindi saltare in poco olio bollente in una padella dal fondo spesso, togliendola dal tegame a tre quarti di cottura.
• Intanto all'olio di cottura si aggiunge una spruzzata di vino bianco, del pomodoro fresco spezzettato e quindi un trito di prezzemolo, timo, maggiorana, alloro, basilico, serpentaria e semi di finocchio.
• Quando il soffritto è a punto l'intercostata è rimessa nel tegame per completarne la cottura.
• La carne è servita con lo stesso fondo di cottura.
. Queste nostre erbe, al pari degli ortaggi, non si mantengono fresche che per breve tempo, per cui si presenta opportuno accennare al problema della conservazione. Diversi sono i procedimenti seguiti dall'economia domestica, le nostre nonne, passavano al semplice appassimento per un consumo non troppo dilazionato e dall'essiccazione pronunciata, alla conservazione sotto sale o sotto olio, o sott'aceto. Oggi basta tenerli nel frigorifero in recipienti ben chiusi. Industrialmente si ricorre alla surgelazìone e anche alla liofilizzazione. Menta, timo, dragoncello, ad esempio, si possono surgelare, mentre il cerfoglio. non sopporta nemmeno la refrigerazione in frigo: va messo con le sue radici semplicemente in acqua, e tenuto in luogo fresco.
Curiosità. (oltre agli appunti)
Anche il crescione, la balsamite (o erba San Pietro), ed altre, sono buone solo allo stato fresco. Luigi Veronelli ne “ Il Carnacina “ Ved. Bibliografia, non tralascia di menzionare l'uso di conservare sott'aceto le foglie di dragoncello: si consiglia di scottarle per 2 minuti in acqua leggermente salata; successivamente rinfrescate, esse sono ricoperte da aceto di vino mescolato al sale (60 g. per 1 litro) fatto bollire e raffreddato. L'essiccazione rappresenta naturalmente il mezzo più semplice per assicurare la disponibilità del prodotto quando non lo possiamo aver fresco e in proposito l'economia domestica è doviziosa di consigli pratici: raccolta delle foglie nel periodo della maggior fragranza, lavatura, asciugatura, esposizione all'aria secca all'ombra, ecc. Ma certe varietà, essiccando, perdono troppo in aroma ed invecchiando possono prendere odore di fieno. Le foglie di alloro, se troppo secche, sono da sconsigliare, tuttavia non si utilizzano assolutamente fresche, ma leggermente appassite affinché, pur conservando il loro penetrante caratteristico profumo, perdano il sapore amaro che hanno appena raccolte. Il basilico avvizzisce assai presto, com'è noto; lo si vende perciò con le radici e protetto da foglie o carta. In diverse regioni italiane lo si conserva in vaso disponendo a strati le foglie (previamente lavate e asciugate) e cospargendo dei sale su ogni strato; poi si riempie d'olio il recipiente: può durare dei mesi. A proposito di questa conservazione sott'olio, taluni stimano che essa sia ugualmente valida per preparare al momento opportuno il «.pesto » genovese, ma altri la ritengono assolutamente inutilizzabile. Effettivamente ogni preparazione culinaria subisce tante e tante variazioni, a seconda dei gusti, delle possibilità e delle abilità personali... Presso molti cuochi e cuoche liguri la confezione del pesto assume l'impegno di un rituale da rispettare in modo preciso. Come fa notare Massimo Alberini, nel suo « Liguri a tavola » (4 ) Ved. Bibliografia, i veri « cultori » del pesto non ammetterebbero nemmeno di sminuzzare il basilico con la lama del coltello o con quella del frullatore. Le foglie dei basilico vanno pestate nel mortaio, che dev'essere di marmo e non di metallo, affinché gli oli essenziali contenuti nelle minuscole vescichette « esplodano » sotto la pressione di un pestello di legno.
Ma è naturale che, quando si ha fretta, le regole non restano operanti; e magari si corre a comperare il pesto già pronto in barattoli. Intanto, fra coloro che utilizzano solo il basilico fresco e coloro che lo usano , anche sott'olio, si inserisce una terza via, quella di chi suggerisce di conservare, in luogo del solo basilico, un « semílavorato »del pesto, da terminare successivamente al momento opportuno. La nota rivista « La cucina italiana » infatti, ha illustrato tempo fa la proposta di preparare un semilavorato a base di basilico e formaggio. Sì dovrà pestare il basilico fresco, con le dovute regole, insieme a formaggio grattugiato aggiunto a piccole dosi, e amalgamare i due ingredienti fino ad ottenere una manteca color verde pisello. Ad ogni “pestata” si mette in vaso, l'amalgama ottenuta e alla fine si ricopre con sale prima di chiudere definitivamente il vaso. In merito al procedimento di surgelazione delle erbe aromatiche ci troviamo ancora alquanto carenti di adeguate indicazioni che siano frutto di prove e dì lunga pratica. Occorrerà fare dei tentativi personali, e badare a che, una volta scongelate, le erbe riprendano le strutture organolettiche d'origine. Col congelamento molte erbe anneriscono, per cui, volendo evitare l'inconveniente, occorrerebbe procedere, come si fa per spinaci, piselli, carote., patate, alla preventiva scottatura in acqua bollente. Tale scottatura, o sbiancatura, come si sa, oltre a togliere certe asprezze di sapori, mantiene il colore degli erbaggi. Nel nostro caso il metodo non sarà valido per tutte le erbe aromatiche. Intanto lo si usa per il prezzemolo esportato verso il Nord Europa. Il prof. Monzini, Direttore dell' « Istituto per la valorizzazione tecnologica dei prodotti agricoli », mi informa, inoltre, che per alcune varietà e possibile surgelare la foglia in salamoia semplice di acqua e sale o sott'olio. ad. Questo è valido per il basilico che, come ancora riferisce il Prof. Monzini, migliora di gusto con la conservazione sott'olio, poiché gli aromi si arrotondano, togliendo la sensazione di certe asperità di profumo e di sapore proprie della pianta.In materia di erbe si può arrivare, per talune varietà, anche alla liofilizzazione, la quale, costituendo oggi un processo di conservazione non più eccessivamente costoso, può interessare al nostro assunto, nei casi in cui la domanda del prodotto è relativa o a forti quantità fuori stagione, oppure a mercati lontani dalla zona di coltivazione. La vendita delle preparazioni essiccate, disidratate, liofilizzate raccolte nelle boccette etichettate e presentate in batteria in mobìletti ad hoc, frequenti nei grandi magazzini, se da un lato ci allontana un po' da quel contatto con la natura che le erbe suggeriscono, serve d'altro canto a recare suggerimenti diversi dal consueto, al fine di variare e di innovare in materia di gusti per un richiamo ad alcuni aromi dimenticati o ignorati. Nell’uso di tali preparazioni, occorre cautela nelle dosature, trattandosi di prodotti che in un certo senso sono concentrati.
Molte erbe le nostre nonne le coltivavano. Ecco, mi sembra che noi ci avvantaggeremo maggiormente di tale amicizia quando potremo coltivarle, noi stessi nel nostro orto o giardino, o sul terrazzo o sul davanzale di casa nostra; in primo luogo per averle più vicine a noi, e anche per godere la vista dei bei fiori di cui spesso le erbe aromatiche si adornano; si avranno poi sottomano per i bisogni della cucina,- col piacere di una, diretta e immediata utilizzazione. Risultino pertanto molto simpatici, e da incoraggiare, quei suggerimenti delle riviste di architettura della casa, di giardinaggio o di economia domestíca, proponendo creazioni decorative realizzate con le erbe aromatiche, le quali vale la pena ricordarlo - sia comuni che meno note, sono tutte coltivabili nei nostri giardini, Italia Settentrionale compresa. Talvolta basta una sola pianta per soddisfare i bisogni della cucina.
Nell'utilizzo degli aromi si tenderà a dosare opportunamente i differenti apporti assaggiando ripetutamente le preparazioni in atto per il relativo controllo. Alcuni piatti guadagnano di gusto con certi aromi, altri li rifiutano. Tom Stobart, autore de' « Il libro delle erbe » Ved. Bibliografia nota che, in argomenta. non sono applicabili il « melius abundare quam deficere » e il « chi si accontenta gode ». Infatti, il sapore finale dei piatto non dipende dall'aggiunta di uno o dell'altro ingrediente, ma dall'equilibrata ed armonica fusione raggiungibile. Inoltre si terrà presente che gli aromi si disperdono maggiormente, e tanto più in fretta, quanto più il fuoco sia vivace e forte; inoltre - ove le esigenze. della ricetta lo permettano si vedrà di procedere ad una cottura a recipiente coperto. Arbitro nelle scelte e nella manipolazione sarà dunque il cuoco impegnato ed orgoglioso, che vuol dare ad ogni sua preparazione l'impronta della personalità. Anche qui cucinare significa esprimersi. e ciò costituisce un altro aspetto simpatico e interessante connesso al tema delle "erbe nostre amiche". Naturalmente il cuoco esperto terrà conto, oltre che delle proprietà aromatiche, anche di quei valori che servono. come dice l'antico testo succitato, per mantenere la sanita... (apporti vitaminici e in sali minerali, o coadiuvanti la buona digestione).Sotto tale aspetto. possiamo accettare il motto che si legge sulle pareti della Scuola Alberghiera di Stresa:

Tali parole, anche se ottimistiche, sono vere e valide in quanto l'alimentazione è fattore basilare della salute. In ogni caso l'amicizia per le nostre erbe va resa operante innanzi tutto conoscendole il meglio possibile. Per questo ho pure preparato un quadro di insieme che, pur avendo solamente valore indicativo, serve a dare una generale e sintetica visione di un certo numero di varietà utilizzabili, al fine di suscitare maggiori interessi al riguardo ed invogliare all'approfondimento attraverso le pubblicazioni specializzate.In un primo quadro l’elenco delle erbe in ordine alfabetico, raggruppate per famiglie botaniche, indicandone sommariamente le essenziali caratteristiche: denominazioni, presentazione, sapore, impiego in cucina. In un quadro invece, a seconda delle principali preparazioni culinarie, sono indicate le diverse erbe adatte al bisogno.

Infiorescenza a capolino (es. fiore di zinnia, dalia, crisantemo, cardo). Famiglia assai vasta, contando quasi mille generi di piante e molte migliaia di specie, di grande interesse; ad essa appartengono infatti le seguenti piante: alimentari (carciofo, indivia, topinambur), medicinali (camomilla, bardana, arnica), industriali come il « taraxacum » per il caucciù e il girasole per l'olio, aromatiche, come l'artemisia (abrotano e dragoncello), ornamentali, come astri, calendula, zinnia, crisantemo, ecc., oltre a numerose piante da pascolo.
(a):Nome - (b):Descrizione - (c):Utilizzo.
1° Quadro.
Elenco alfabetico delle erbe raggruppate per famiglia botanica.

ITALIANO FRANCESE INGLESE TEDESCO LATINO
Famiglia delle Composite
a Abrotano o Erba Reale Aurone Southernwood Eberries Artemisia abrotanum
b Cespuglio coltivato nei giardini (ornamentale); spontaneo in Italia e Spagna. Stimolante. Foglie fini come aghi, verde grigio. Sapore: amaro, piccante
c Profuma gli arrosti di anitra e d'oca, le bistecche, i rognoncini.
a Balsamite Balsamite Costmary Balsamkraut Chrysan- themum balsamita
b Perenne, alta,fino a 1 m., fiori gialli a bottoncino. t denominata anche Erba amara, erba della Madonna. In America è chiamata « bibleleaf » (foglia da bibbia: segnalibro). Sapore: amaro e aromatico.
c Nelle minestre, insalate, frittate; per carni stufate (spezzatino, pollo e vitello) e carni in salmì
a Calendula Souci Marigold Ringelblume Calendula officinalis
b E’ il noto fiore da giardino giallo arancione; foglie verde pallido. Sapore: amarognolo (fiori e foglie) e aromatico.
c Per aromatizzare e decorare insalate: foglie (ruvide e dure) e petali. Per court bouillon e zuppe di pesci: petali.
a Dente di leone Dent de lion Dandelion Hundeblurne Taraxacum-officinale
b Foglie alla base della radice, lunghe e dentate. Fiore giallo che poi si trasforma nel notissimo soffione (sfera formata dai leggerissimi pappi che al minimo vento si staccano per portare i lontano i semi). Radice a fittone (che serve a rendere più amare le birre). Proprietà diuretiche, stomatiche e rinfrescanti. Sapore: amaro
c Si mangia in primavera, contenendo minore quantità di principio amaro e maggior quantità di sali. Preziosa nell'inverno quando vi è scarsità di altre erbe. Per insalate o come verdura tipo spinaci.
a Dragoncello, estragon o serpentaria Estragon Tarragon Dragon Artemisia dracunculus
b Perenne, cespugliosa, fino a 90 cm., foglioline lunghe e fiori verde-grigio. In Italia è raro, mentre è coltivabile nei nostri orti, e anche in vaso. (Consigliabile la talea). Rende moltissimo come aromatizzante. Sapore amarognolo, un po' piccante, gradevolissimo.
c Nei burri composti, nelle frittate, nelle minestre con le puree di patate, nelle salse (indispensabile nella « bearnaise ») e preparazioni alla panna, con piatti di pollo e di uova, per profumare l'aceto.

. Riunisce erbe così chiamate per i fiori i cui quattro petali sono disposti a forma di croce: crescione, raffo, ravanello, cavolo, rape, navone, agliaria, colza, ravizzone, senape bianca ecc. Le violacciocche sono tipiche ed hanno importanza ornamentale; di questa famiglia fa parte anche l'erba luna (gen. Lunarie) le cui radici dal sapore leggermente piccante e gradevole servono, affettate, per le insalate. In genere hanno. proprietà stimolanti perchè ricche di vitamine e di sali.
(a):Nome - (b):Descrizione - (c):Utilizzo.
2° Quadro
Elenco alfabetico delle erbe raggruppate per famiglia botanica.

ITALIANO FRANCESE INGLESE TEDESCO LATINO
Famiglia delle crocifere.
a Agliare o alliara Alliaire Garlic Mustard Eberries Alliaria petiolata
b Perenne (60-90 cm.), lungo le siepi, foglie simile a quelle delle ortiche, a forma di cuori rovesciati, fiori bianchi a lunghi racemi. Sapore e odore d'aglio, ma tenue e finissimo.
c Foglie e fiori per aromatizzare insalate. Foglie per sandwich (col burro).
a Crescione Cresson de fontaine
Watercress Brunnenkresse Roríppa-nasturtium-aquaticum.
b Riferimento al comune crescione d'acqua. Coltivato anche in vasche ad hoc alimentate da acqua. Quello spontaneo può crescere lungo ruscelli d'acqua inquinata. Annua: 25-30 cm.,. piccoli fiori bianchi. Proprietà stomatiche, depurative, diuretiche. Sapore piccante; odore gradevole; per taluni somiglia alla senape.
c Per insalate e per insaporire minestre, bolliti, verdure, patate bollite, burri d'erbe. Accompagna il formaggio. S'impiega nei sandwich, ed anche per decorazioni.
a Ruchetta o rucola Roquette Rocket Ruke Eruca satíva
b E’ coltivata, ma è anche spontanea nei campi e fra le macerie; fiori o crema simili a violacciocche. Proprietà: ricca di vitamine. Sapore molto forte pungente, ma gradevole e stuzzicante
c Per insaporìre insalate verdi.
Caratteristiche fra l'altro perchè sia le foglie, sia il fusto, che i fiori, hanno per più peli ghiandolosi che elaborano un olio essenziale. Questa famiglia comprende: il basilico, il rosmarino, la salvia, la nepeta, la l'issopo, l'origano, il timo, la menta, la santoreggia, ecc.
(a): Nome - (b):Descrizione. - (c): Utilizzo.
3° Quadro
Elenco alfabetico delle erbe raggruppate per famiglia botanica.

ITALIANO FRANCESE INGLESE TEDESCO LATINO
Famiglia delle labiate.
a Basilico Basilíc commun Basil Basilienkraut Ocìmum basilìcum
b Non ha bisogno di presentazione. Ne esistono parecchie varietà. Proprietà stimolanti della digestione e calmanti.
c Con i pomodori, i cetrioli, con le salse al pomodoro, per il pesto, per uova, per carni stufate o in spezzatino, per la selvaggina; con le minestre.
a Issopo Hysope Hyssop Eisop Hyssopus officinalis
b Spontanea o coltivata, perenne,alta da 30 a 60 cm.; foglie verde scuro, fiori azzurri, talvolta bianchi o rosa, Dì facile coltivazione (semi). Sapore amaro che ricorda sia la menta che la ruta, gradevole, un pò piccante.
c Soprattutto usato per liquori, ma è consigliato (foglie) per aromatizzare -minestre e insalate.
a Lamio o ortica bianca Lamier Whìte Dead nettle Taubnessel Lamium album
b Comune lungo le siepi, somiglia all'orfica, ma non punge (non appartiene alla stessa famiglia). Sapore fortemente aromatico.
c Nelle minestre o come verdura cotta.
a Maggiorana Marjolaine Marjoram Maígram Origanum maiorana
b Notissima. Proprietà toniche;e stomatiche. Sapore simile a quello del timo.
c Utilizzata per insaporire moltissimi piatti. insalate, frittate, salse, arrosti; per aceti.
a Melissa o cedronella o erba limone Baume Balm Bienenkraut Mefissa officínalís
b Coperta di pelo fitto, fusti molto ramificati. Alta 50 cm. Proprietà digestive e carrnínative (infusione). Sapore delicato di limone
c Usata per aromatizzare le insalate (con discrezione) ed anche nelle' frittate, nelle minestre, nelle marinate, nel vino bianco e con le bevande ghiacciate
a Menta Menthe Mìnt Minze Mentha sp
b Assai nota. Perenne, spontanea, numerosissime varietà (la merita piperita è la migliore). Proprietà toniche, stomatiche, carminative. Aroma deliziosamente fresco e piccante e profumo accentuato prodotto specialmente dal mentolo contenuto.
c Condimento aromatico per insalate e minestre, nei ripieni per pesce, con l'anatra all'arancia, con le verdure cotte (patate, piselli, fagioli, lenticchie, cetrioli, barbabietole, pomodori, melanzane, carote, funghi), per salse, per macedonie di frutta, succhi di frutta; si usa pure con frullati, bibite e the freddo.
a Origano Origan Oregano Oregano Origanum vulgare
b Conosciutissimo, ha le stesse proprietà delle altre labiate: stomatiche, toniche ed anche antispasmoffiche. Sapore di piacevole e piccante fragranza.
c Caratteristico nella cucina italiana: con pomodori, formaggio, fagioli, lenticchie. melanzane, zucchine, pesci, crostacei, carni; per la pizza e le salse « alla pizzaiola ». Per aromatizzare insalate, frittate, aceto. Con gli arrosti.
a Salvia Sauge Sage Ecliter Salbei Salvia officinalis
b Tipica della'nostra cucina. Sono note le proprietà toniche, digestive, astringenti. carminative e diverse altre esaltate dall'erboristeria. Odore forte, decisamente aromatico, sapore caldo, piccante, leggermente amaro.
c Si può dire adatta a tutte le vivande, ad eccezione dei lessi e delle insalate. Indicatissima per carni brasate e stufate, per pesci alla griglia, per carni di maiale. per spiedíni di carne e salsicce, per salse, per ripieni, per i .« saltimbocca » e la selvaggina da piurna, per fagioli e piselli.
a Santoreggia Sarriette des jardins Savory Bohnenkraut Satureja bortensis
b Perenne; cespugliosa, alta 25 cm.; foglie strette e lanceolate; fiori rosati. Chiamata altrove « erba acciuga ». Non si trova sul mercato italiano, ma non è difficile coltivarla (zona soleggiata; teme il gelo). Aroma molto penetrante, simile a quello dei timo, ma più amaro.
c Aromatizzante nei salumi, ripieni, misti d'erbe (a volte nel « bouquet garni »). fagioli, fave, piselli, lenticchie.
a Timo Thym Thyme Rómischer Quendel Thymus vulgaris
b Piccolo arbusto cespuglioso; piccole-foglie grigio-verdi; fiori rosso porpora. Coltivabile, Proprietà digestive, carminative. Aroma forte, pungente, meno aspro della salvia.
c Presente nel «bouquet garni ». Eccellente per brodi e minestre, per carni di agnello' pollame, coniglio, bue, selvaggina, per spezzatini, pesce, ostriche, crostacei. Con carote, piselli, cipolle, pomodori, patate, zucchine, melanzane, peperoncini dolci. Nelle marinate, nei salmi.
. (Inflorescenza a ombrello). Aneto, anice, angelica, prezzemolo, cerfoglio, finocchio, insieme alla carota e al sedano, appartengono a questa famiglia che raccoglie piante ricche di aromi.« Virtù » aperitivi, stimolanti e diuretiche.
(a): Nome - (b):Descrizione. - (c): Utilizzo.
4° Quadro
Elenco alfabetico delle erbe raggruppate per famiglia botanica.

ITALIANO FRANCESE INGLESE TEDESCO LATINO
Famiglia delle ombrellifere - Inflorescenza a ombrello
a ANETO Aneth odorant Dill Dill Anethum graveolens
b Pianticella annua, facile a coltivarsi negli orti. Spontanea nelle zone mediterranee; ma è utilizzata specie nel Nord Europa. Piccoli fiori gialli; semi ovoídali dal grato aroma. Come quelli del finocchio sono stomatici e carminativi (dissipano i gas intestinali). Sapore: amaro, con odore simile al finocchio, ma più violento.
c Salse per pesce; legumi pesanti da digerire. Anche con pollo e agnello. Semi macinati e giovani foglie, per le insalate.
a ANGELICA Angélique Angelica Angelika Angelica archangelica
b Annuale o biennale che supera il metro. Zone montane europee (terreni umidi). Sapore: forte e penetrante paragonato anche a quello del muschio.
c Per decorare dolci e torte (gambi delle foglie). Nelle marmellate; nelle insalate (germogli giovani); nei brodi ristretti per pesci e crostacei. In certi liquori e aperitivi
a ANICE Anis Anise Anis Pimpinella anisum
b Annuale (60 cm.). Importante per i semi e per l'olio essenziale. Sapore (foglie): dolce.
c Le foglie non sono molto usate, ma servono come aromatizzante di insalate. In Francia si cospargono le carote novelle con le foglie tritate. Notissimi invece i liquori a base di anice: Anisette, Sambuca (dolce), pastis, ouzo (Grecia), ecc
a CARVI o CUMINO DEI PRATl Carvi, Cumin Caraway Kúmmel Carum carvi
b Alta anche 50 cm., con fiore bianco tipico delle ombrellifere; biennale. Aroma: tra il prezzemolo e l'aneto.
c Per insaporire minestre e insalate (foglie). Usato in Germania e Austria i (seme) nel pane, nei dolci, in certi formaggi, con i crauti, ed anche sparso sugli arrosti.
a CERFOGLIO Cerfeuil Garden chervil Kerbel Anthriscus cerefolium
b Annua; fiorellini bianchi; 40 cm,; coltivabile anche in vaso (da evitare il caldo secco). FogIie~a pizzo. Si ha pure la varietà ricciuta (come per il prezzemolo). Sapore: sembra al prezzemolo, ma più delicato e tenue
c Per aromatizzare salse, brodi, minestre, insalate, pesci lessati, frittate, preparazioni alla panna, carni in salmì, burri composti, aceto di vino bianco. Non adatto a cuocere a lungo; aggiungerlo quando il piatto è pronto o quasi.
a LEVISTICO o SEDANO DI MONTE Livèche Lovage Badekraut Levisticum officinale
b Perenne, fino a 2 m., fusto grosso e cavo, facile da coltivare. Utilizzabili foglie, fiori, semi. Sapore che ricorda il sedano e il brodo. Chiamata anche (in Francia ed altrove) « erba Maggi ».
c Per insalate (sbianchito o crudo); aromatizzante nelle minestre. Per pane e biscotti (semi).
a PREZZEMOLO Persil Parsley Kráutel Petrogelinum crispum
b Non ha bisogno di presentazione. Da notare i due tipi: comune e crespo (o riccio). Quello comune può confondersi con la velenosa cicuta, anche se questa ha foglie più scure che emanano odore sgradevole quando si spezzino. La varietà ricciuta non è confondibile con altre erbe. !Proprietà vitaminiche (« A »); ricco di sali. La varietà « gigante di Napoli » ha gambo grosso da consumare come il sedano.
c Ottimo condimento per minestre, salse, per lessi e stufati di carni e di pesci, per selvaggina, per ripieni e polpette, per uova, per patate bollite. Nelle insalate, il gambo della varietà gigante a fettine.
Si divide in diverse sottofamiglie, ad es. quella che comprende la fragola, quella che comprende il lampone, quella chiamata « Geum » a cui. appartiene la cariofilláta, e quella cui appartiene la salvastrella o pimpinella.
(a): Nome - (b):Descrizione. - (c): Utilizzo
5° Quadro.
Elenco alfabetico delle erbe raggruppate per famiglia botanica.
ITALIANO FRANCESE INGLESE TEDESCO LATINO
Famiglia delle rosacee
a CARIOFILLATA o AMBRETTA Benolte Avens Geum Geum Geum urbanum
b Perenne; di circa 30 cm.; foglie simili a quelle della fragola. Proprietà astringenti (gengive). Odore leggero di garofano, più intenso nel rizoma. Foglie da raccogliere prima della fioritura.
c Nelle insalate a foglie giovani.
a PIMPINELLA o SALVASTRELLA Grande pimprenelle Burnet Grosser Wiensenknopf Poterium sanguisorba.
b Perenne: foglioline i dentate; alta 30 cm.; spontanea; anche coltivata come foraggio per conigli e bovini; fiore a « pompon » verdastro,
rosso-porpora. Aroma: simile al cetriolo, ma più delicato ornato da lunghi stami (3) Per aromatizzare insalate (si consiglia di utilizzare foglie che siano diverse per spessore, aroma e gusto); nei burri composti; nelle salse; per profumare l'aceto.
c Per aromatizzare le insalate ( si consiglia di utilizzare foglie che siano diverse per spessore, aroma e gusto); nei burri composti; nelle salse; per profumare l’aceto.

(a): Nome - (b):Descrizione. - (c): Utilizzo
6° Quadro
Elenco alfabetico delle erbe raggruppate per famiglia botanica.
ITALIANO FRANCESE INGLESE TEDESCO LATINO FAMIGLIA delle
a Acetosa o romice domestica Oscille Sorrel Sauerampfer Rumex ácetosa Poligonacee
b La famiglia a cui appartiene, che comprende anche il rabarbaro, è un pò simile a quella della barbabietola e degli spinaci. Perenne. Raggiunge fi 50 cm. Usata nel passato, oggi è quasi abbandonata. Di facile coltivazione; chiamata anche« erba pazienza » (ed « erba brusca » in alcune regioni). Proprietà, rinfrescanti. Sapore: amarognolo, agro, ma piacevole, un po' simile agli spinaci.
c Insalate (foglie crude). Purea passata al burro (con vitello, pesce_maiale, uova e soprattutto frittate). Minestre.
a Acetosella Petite oseill Alléluia Wood Sorrei Sauerklee Oxalis acetosella Oxalidacee.
b Appartiene ad una famiglia assolutamente differente da quella dell'acetosa. Cresce spontanea nei boschi umidi e ombrosi. Foglie lunghe, lanceolate. Coltivabili in,ìLgiardino (è anche decorativa per i fiori). Contiene acido ossalico, da sconsigliare ai gottosi. Sapore: leggero, acidulo, pungente.
c Sostituisce l'acetosa nelle minestre e nelle insalate. Più utilizzata della prima.
a Alloro Laurier Bay Lorbeer Laurus nobilis Lauracee.
b Le foglie hanno odore dolce, balsamico, penetrante. In cucina, lo si chiama anche lauro; ma il lauro vero e proprio appartiene alla famiglia delle rosacee (lauruscerasus) che si esclude dall'uso culinario; serve in Europa per formare siepi. Le foglie di alloro, se fresche, presentano sapore amarognolo (non gradito) che si attenua con l'appassimento.
c Rafforzano molti piatti, brodi ristretti, marinate, sott'aceti. Fa parte del « bouquet garni ». E' bollito nel latte per profumare alcune panne. Usato nella besciamella
a Borragine Bourrache Borage Boretsch Borago officinalis Boraginacee.
b Annuale, alta 50 cm., coperta di peli; bei fiori a stella!di cinque petali, azzurro tenero; spontanea, comunissima in Liguria. Aroma fresco di cetriolo.
c Per insalata (tritare finemente le foglie, a causa dei peli che ne toglierebbero l'appetitosità), Per minestre. Come gli spinaci, cottti senza acqua poi passarli (al burro, purea, ripieno). usata per la torta pasqualina.
a Calamo aromatico Calamus Calamus Schilffeder Acorus calamus Aracce.
b Pianta di palude (si trova negli stagni). Foglie e germogli sono dolci e aromatici.
c Soprattutto per liquori. I germogli giovani servono nelle insalate.
a Capelvenere Adranthe Maidenhair-Fern Kapillar-kraut Adiantum capillusveneris. Adiantacee
b Notissima pianta ornamentale.
c Per decorare torte.
a Cedrina Citronelle Verbena Verbene Verbena tryphilla Verbenacee.
b Non va confusa con la verbena. P- pure chiamata « limoncina ». Coltivabile ovunque anche in vaso. Alta anche 1 metro. Odore di limone.
b Per insalate di frutta, dolci, bibite (solo qualche fogliolina).
a Erba cipollina Ciboulette Chive Schnittlauch Alliumschoe-noprasum Gigliacee.
b Perenne, che può arrivare a 50 cm., foglie sottili, vuote, simili all'erba, cresce a ciuffi in prati umidi. Proprietà stimolanti dell'appetito. Sapore e odore: simile alla cipolla, ma è più delicato e attenuato.
c Per minestre, nelle insalate, nei burri composti, nelle frittate e per decorazioni (previa scottatura).
a Luppolo Houbin Hop Hopfen Humulusluptilus Cannabinacte-Orticacee
b Rampicante spontaneo, lungo le siepi, noto per i suoi fiori utilizzati nella fabbricazione della birra, e per i suoi germogli. Proprietà toniche, digestive; depurativo. Sapore amarognolo.
c Per insalata (fiori maschili e germogli bolliti); come verdure, e come guarnizione(cotti con burro e panna).
a Malva Mauve Mallow Malve Malva silvestris Malvacee
b Selvatica e coltivabile negli orti, ha foglie larghe e bei fiori azzurri. Da raccogliere in piena fioritura. Si può far essicare. Le foglie, cotte, sono mucillanose e hanno proprietà emollienti e raddolcenti.
c Nelle minestre, cotta in insalata, nelle frittate.
a Nasturzio Capucine Nasturtium Kapuziner-kresse Tropaeolum majus Trapeolacee.
b Comunissimo fiore dei giardini e dei balconi; fiore a campanula arancio o giallo, con foglie tondeggianti verde-grigio. Non appartiene alla famiglia del « nasturtium officinale » o crescione. Sapore: le sue foglie hanno un ~ aroma che ricorda il crescione.
c Fiori, germogli e semi messi sotto aceto prendono un aspro sapore di cappero e servono appunto a sostituire i capperi. Per insaporire insalate (fiori).
a Papavero Coquelicot Pappy Mohn Papaver somniferum. Papaveracee.
b Ci si riferisce al comune papavero da campo di cui interessano,le foglie raccolte in principio di marzo, dopo le gelate, quando sono ancora fragili, raso terra (a rosetta), tenere e pelose. li seme (ben maturo, altrimenti contiene alcaloidi pericolosi alla salute) servé in pasticceria. Sapore: foglie, delicatamente piccante; semi, simile alle noci.
c Foglie tenere e primaverili: soprattutto per minestr - e e anche per insalate (Provenza). Semi maturi: !Oltralpe si cospargono i semi sulle torte e sul pane. Nei ripieni per dolci, in Austria e Ungheria.
a Pelargonio o Geranio odoroso Bec du gru Geranium Geranie Parargolium capitatum Geraniacee
b Foglie aromatiche ( specie prima della fioritura e quando incominciano ad ingiallire) fiori, inodori, Sapore simile al limone e alla rosa.
c Foglie usate per profumare frutta dolci e gelatine di frutta.
a Portulania strisciante Portulaca Purslane Kohlportulak Portulaca oleracea Portulacacee
b Annuale, strisciante con foglie spesse e polpose a rosetta. Ama terreni asciutti e antiscorbutiche e diuretiche. Non va mangiata sola, ma accompagnata gustosamente con altre erbe (con cui formi contrasto), 'specie pimpinella. dragoncello, basilico. Sapore: la varietà «dorata» è gustosa, mentre le altre sono piuttosto insipide.
c Cotta in oriente. Cruda nelle insalate.
a Ruta Rueodorante Gartenraute Rue Rutagraveolens Rutacee.
b Perenne e selvatica sulle rocce e sulle macerie, ma è anche coltivata negli orti. Alta, elegante; foglie color verde glauco; piccoli fiori gialli. Contiene principi venefici. Proprietà digestive, impiegata in piccolissime dosi. Sapore amaro, penetrante; odore sgradevole per molti.
c Si utilizza con discrezione per dare un aroma speciale di solito a piatti di pesce,
dì uova e d’insalata verde. Nota per aromatizzare la grappa. Tener sempre presente di utilizzare in piccole quantità. Cotta (in Oriente). Cruda nelle insalate.
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7° Quadro
Elenco delle utilizzazioni delle erbe in cucina.
Nelle minestre Acetosa, Acetosella, Balsamite, Basilico, Borragine, Calendula (petali, per zuppe di pesce) Carvi o Cumino dei prati (foglie), Cerfoglio, Crescione, Dente di leone, Erba cipollina, Issopo, Lamio o Ortica bianca, Levistico, Luppolo (germogli), Malva, Papavero da campo (foglie giovani), Rosmarino (minestrone), Timo.
Court-bouillon Angelica (foglie), « Bouquet garni », Calendula (petali).
Per insalate Acetosa, Acetosella, Borragine (foglie giovani, tritate), Crescione dei prati, Dente di Icone (o Soffione), Millefoglie o Achillea millefoglie, Nasturzio (foglie), Pimpinella (o Salvastrella).
Aromatizzanti nelle insalate Acetosa, Alliaría, Angelica (germogli sbianchiti), Anice (foglie), Balsamite, Barbarea (simile al crescione), Calamo (germogli), Calendula (foglie e petali freschi o essiccati), Cariofillata o ambretta, Carvi, Cerfoglio, Crescione, Crisantemo (« coronarium », foglie giovani), Cumino dei prati-(foglie), Erba cipollina, Luppolo (germogli), Maggiorana, Melissa, Nasturzio (fiori), Pimpinella, Portulaca, Rucola (Ruchetta).
Sandwich Alliaria (con burro), Crescione (con formaggio), Erba cipollina (con formaggi cremosi).
Burri Cerfoglio (burri comp. Chivry, Montpellier), Crescione (burro comp. Montpellier), Dragoncello (burri comp. Chivry, Colbert, d'estragon, Montpellier), Erba cipollina (burri comp. d'Epicure, Montpellier), Pimpinella (burro comp. Chivry), Prezzemolo (burri comp. Bercy, Chívry, Colbert, d'escargot, Maitre d'Hótel, Montpellier).
Aromatizzanti di verdure cotte Aneto (con fave, fagioli, lenticchie, cavoli), Angelica (foglie, Paesi scandinavi), Anice (foglie tritate, per carote al burro), Basilico (pomodori e verdure fritte), Crescione (per patate bollite), Lamio, Timo con patate, zucchine, melanzane, peperoncini dolci), Santoreggia (fagioli, lenticchie e ceci all'olio).
Come verdure cotte Acetosa, Acetosella, Borragine, Dente di leone, Lamio. Luppolo (germogli).
Frittate Balsarnite (o Erba San Pietro), Erbe fini (prezzemolo, cerfoglio, dragoncello, erba cipollina), Malva, Maggiorana, Melissa (con altre erbe), Origano
Salse Cerfoglio, Crescione, Dragoncello (essenziale per la « Béarnaise »; maionese). Erba cipollina (« Ravigote, »), Menta (« Mint sauce »), Origano (salse « alla pizzaiola »), Pimpinella (« Ravigote »).
Preparazioni alla panna Cerfoglio, Dragoncello, Ruta (in minima quantità)
Ripieni a base carnea Borragine, Salvia, Timo.
Carni stufate e in spezzatino, scaloppe Alloro, Balsamite (pollo e vitello), Basilico, Menta (agnello, Inghilterra), Prezzemolo, Rosmarino, Salvia (scaloppe), Timo.
Carni in salmi Alloro, Balsamite, Cerfoglio, Rosmarino, Salvia, Santoreggia.
Carni arrostite Artemisia o Abrotano, Maggiorana, Origano, Rosmarino, Salvia, Timo.
Pesce lessato o arrosto Alloro, Aneto, Cerfoglio (pesce lessato), Rosmarino, Ruta (dose minima, non per gli arrosti), Salvia, Timo.
Macedonia di frutta Cedrina o limoncina.
Per profumare L'aceto Aneto, Cerfoglio, Dragoncello, Maggiorana, Origano, Nasturzio, Pimpinella.
Per Decorazioni Achillea Millefoglie, Capelvenere, Cerfoglio riccio, Crescione, Erba cipollina, Prezzemolo comune o riccio

Mettiamo le radici nel nostro quotidiano.
1990
Come decotti, tisane o ingredienti da aggiungere ai piatti tradizionali per sfruttare al meglio tutti i van¬taggi delle loro naturali riserve di vitamine e sostanze benefiche. Nei cambi di stagione, l'organismo accusa di più la stanchezza. Finito l'effetto benefico e rigenerante delle vacanze, ci si trova a far fronte a tutti gli impegni, lavo¬ro, scuola, e ci si sente privi di energia. Ecco allora la ne¬cessità di un aiuto per tirarsi su, ma anche per risolvere i piccoli e grandi disturbi di minore entità per i quali abitualmente non si va dal medico. Un valido aiuto può venire dalle radici.

Scorzonera. Un'insalata con questa radice dai fiori gialli è sempre più difficile da trovare. «La pianta che cresce princi¬palmente in Spagna, nei Paesi mediterranei e orientali era una delle preferite della nonna che mangiavamo questo piatto soprattutto quando avevamo problemi digestivi. Scelta davvero corretta. In ca¬so di infiammazioni all'apparato digerente, gastriti , la scorzonera ha un interessante effetto sfiammante».
La cucina cinese. Suggerisce per la scorzonera rotture rapide e legge¬re come quelle in pentola a pressione o al vapore. Diffi¬cilmente la scorzonera viene utilizzata dalle erboristerie orientali come ingrediente da miscelare ad altre radici per decotti o tisane.
In Italia. È poco diffuso l'uso di questa radice che invece svolge una precisa azione diuretica purificante per il fegato. La scorzonera contiene vitamina F , un antiossidante in grado di aumentare l'apporto di ossigeno nei globuli rossi e quindi di rendere più bella e luminosa la pelle. La ra¬dice esternamente nerastra ha un sapore leggermente amarognolo che ricorda quello della ruta, della cicoria o della bardana. Il suo utilizzo? Ci viene insegnato dalla medicina antica. Gli specialisti la raccomandano come depurativo e riequilibratore perché bilancia il surplus proteico ed energetico di alimenti come la carne di selvaggina , le uova, il formaggio di capra, il latte. Anche per il mal di testa da deficit renale è perfetta: infatti, riattiva il funzionamento dei reni.
Le dosi. Si può ottenere un decotto sminuzzando la radice (un cucchiaio per tazza) in acqua fredda. Poi si porta l'acqua a bollire per 3 minuti. Berne due o tre tazze al giorno dopo i pasti ha un discreto effetto purificante.

Rafano. II rafano appartiene alla famiglia delle Crocifere, quel¬le del cavolfiore per intenderci, più frequentemente si consuma la sottospecie rafano sativus, detto remolaccio, ravanello. Presenta molte varietà con tubero ingros¬sato a forme ora allungate ora rotondeggianti. È esterna¬mente bianco, si presenta anche in una versione nera, o all'esterno rossa. Il suo tubero? È ottimo crudo.
Può diventare sciroppo. Un tipo di rafano Varmoracia clochearia, è usato per la produzione di sciroppi dato il suo contenuto di vitami¬na C, antiossidante che attiva il sistema immunitario, è particolarmente utilizzato per combattere bronchiti e raffreddori. Il rafano è molto usato in Francia dove viene chiamato radice nera per il suo colore scuro al¬l'esterno. Contiene glucosidi solforati o glucosinolati, cosiddetti zuccheri verdi, che rendono più fluido e dolce lo scirop¬po, e inoltre attivano il metabolismo, danno una sferza¬ta di energia all'organismo senza far ingrassare.
La medicina popolare. Lo usava come condimento. E non aveva tutti i torti. Oggi, gli erboristi lo consigliano come stimolante della digestione. Il motivo? Attiva gli enzimi che consentono il passaggio della bile dal fegato alla cistifellea e quindi allo stomaco. Altro atout del rafano? Contiene molto ferro per cui viene consigliato a persone anemiche.
Le dosi. È perfetto lasciare in infusione i pezzetti di radice in una tazza d'acqua bollente per dieci minuti. Si può bere due volte al giorno, dopo i pasti principali. Invece, le pillole che contengono 500 milligrammi di rafano si possono prendere 3 o 4 volte al giorno. Alcuni suggeriscono di unire al rafano altre piante simili, la eieori; i e il tarassaco, in modo da enfatizzarne le proprietà positive: migliorare la respira¬zione e la funzionalità digestiva.

Cicoria. Secondo un'antica ricetta della Carnia per disinfet¬tare l'apparato digerente bisogna bere succo di cicoria che contiene acido cicorico, considerato appunto un buon battericida. La pianta i cui fiori, di un delicato colore azzurro si schiudono al mattino verso le sei e si richiudono nel pomeriggio, si trova nei Paesi a clima temperato e cresce in prati e campi fino a 1500 m. di altitudine. Le radici dal sapore amaro, si raccolgono prima che cresca il fusto: sono grosse 102 centimetri, lunghe io, semplici o poco ramificate, grigio giallastre all'esterno. Viene chiamata in molti modi, proprio perla sua diffusione: radicchio, radice, cicorella. Nella cico¬ria si trovano potassio e vitamine del gruppo 5 C, K, potenti riattivatori metabolici. Per questa ragione viene consigliata alle madri che allattano, bisogna solo fare attenzione alle quantità: non devono essere eccessive, viceversa il latte materno può diventare amarognolo. La cicoria è particolarmente indicata per chi segue un redime dimagrante e ha bisogno di un'integrazione minerale e vitaminica. Grazie al suo effetto depurativo, non irritante, può essere utilizzata come complemento pasto per i bambini che a volte soffrono di gonfiori intestinali.
Le dosi. Lasciare un cucchiaio di radice in polvere in una tazza d'acqua per dieci minuti. Bere due, tre volte al giorno.

Tarassaco. Detto anche dente di Leone è un'erba estremamente comune in Italia, cresce nei luoghi erbosi e boschivi, ma anche lungo i bordi delle strade. La sua radice, lunga 10-15 millimetri, è spesso divisa in due o tre grosse ramifi¬cazioni, grigia all'esterno e bianca all'interno. Fra i suoi componenti ci sono il glucosio e il fruttosio, zuccheri di facile assorbimento e che danno pronta energia. E ancora: le vitamine A e C che stimolano le attività organiche.
Patente disintossicante. L'inte¬ressante effetto disintossicante del tarassaco che stimola l’attività del fegato e assicura l'eliminazione delle tossine. Una curiosità in proposito? Il tarassaco protegge le cellule epatiche, nutrendone la membrana cellulare. Questo effetto è stato osservato in animali da esperimento esposti a sostanze tossiche quali il tetracloruro di car¬bonio. Il trattamento con questa radice ha ridotto in modo significativo i danni al fegato provocati da queste sostanze. Ma la particolarità del tarassaco è anche un'al¬tra: i suoi bioflavonoidi (precursori vitaminici) hanno un effetto stimolante sulla flora batterica intestinale e un po' su tutti gli organi: è quindi un alimento adatto a rigenerare il corpo dopo le fatiche dell'inverno.
Le dosi. La radice viene usata in forma di decotto: bisogna farne bollire mezz'etto in un litro d acqua per un quar¬to d'ora. Sono consigliate tre tazze al giorno per due o tre settimane nei casi di intossicazione al fegato, dopo un'indigestione. Viceversa, per una normale cura depu¬rativa, è sufficiente una sola tazza al mattino a stomaco vuoto.

Angelica. La leggenda dice che è stato l'arcangelo Raffaele a far conoscere agli uomini l'angelica, le cui proprietà erano talvolta quasi miracolose: debellava la peste, neutralizzava gli effetti dei veleni, prolungava la durata della vita. Adesso è apprezzata come stimolante dell'apparato dige¬rente e antisettico.
In Cina è reputata il tonico più importante dopo il Gingseng. In Europa si trova una qualità di Angelica chiamata Angelica Boemia, con un aroma molto grade¬vole ed è considerata una pianta carminativa, alleata del nostro intestino, come il finocchio, l'anice e il cumino particolarmente adatta per migliorare l'attività gastrica. Ha un sapore gradevole, tendente all'amarognolo. C'è poi un'altra qualità di Angelica chiamata Angelica Simensis che cresce in Cina ed è usata soprattutto per produrre liquori. In Italia l'Angelica è una pianta rara allo stato spontaneo. Cresce in zone riparate dal vento, soleggiate e rinfrescate da ruscelli, in alcuni valloni delle alpi e degli Appennini in terreni fangosi, soleggiati. Fino a 3000 metri si trova più facilmente la specie Silvestris che è meno alta, meno profumata, con fusti più sottili e con foglie verdi. Le proprietà delle specie Archangelica e Silvestris sono simili anche se la Angelica gialla è in¬dubbiamente più bella e profumata. Cosa contengono le varie specie di questa pianta? oli essenziali, flavoni (precursori vitaminici), sali minerali dall'interessante effetto rienergizzante.
Antinfiammatorio. Alcuni ricercatori giapponesi hanno evidenziato gli effetti antinfiammatori della pianta, e questo spiega perché in Asia la si usa contro l'artrite completa l'azione pu¬rificante di alcune radici come il tarassaco e la bardana, correggendone il sapore amaro con il suo più dolce e aromatico. A basse dosi è eccitante a livello cerebrale ed è un ottimo antidepressivo.
Le dosi Bastano 10 gocce di tintura madre d'angelica in mezzo bicchiere d'acqua, mezz'ora prima dei pasti stimolano l'attività gastrica.

Bardana. In Giappone, è coltivata perché le radici sono consu¬mate come ortaggi, con il nome di gobo. In Europa e in Asia la si trova soprattutto nei luoghi incolti. Fiorisce un anno sì, uno no. Il nome botanico del genere deriva dal greco arctos (= orso), e si riferisce al suo aspetto irsuto. I fiori sono rossi. La radice, raccolta al primo anno, prima della fioritura o nel tardo autunno, è lunga fino a 50 centimetri, spessa 2-3 centimetri ed è a forma di cilindro. Cosa contiene? Mucillagine, zuccheri, tannino, gomme, resina, e alcune vitamine del complesso B, potassio. Grazie a questi elementi è perfetta come rivitalizzante. La sua specificità? È soprattutto quella di stimolare la funzio¬nalità epatica grazie alla presenza delle vitamine del gruppo 5. Altro utilizzo classico della bardana è quello contro l'acne: le sue resine e gomme dal blando effetto di¬sinfettante pare svolgano un'interessante azione an¬tibiotica nei confronti dello stafilococco e dei germi gram positivi. Riequilibra gli zuccheri La radice della bardana, come la cicoria, ha una fun¬zione riequilibratrice sull'attività degli zuccheri: abbassa il tasso di glicemia nel sangue. Inoltre, svolge un'inte¬ressante azione depurativa.
Le dosi. Per purificare l'organismo si consiglia un cucchiaino da cafè per tazza invece del classico cucchiaio che si utilizza per molte altre tisane. Inoltre è meglio lascia¬re riposare l'organismo per almeno io giorni, dopo un ciclo di 20 giorni in cui si è assunto tisane di bardana. Per rendere più luminosa la pelle: bollire 20 grammi di radici in 200 mi di acqua per io minuti, dopo aver filtrato, effettuare lavaggi e applicazioni sulle parti in¬teressate per circa 30 minuti.


Tipo di Capra, preferibile la razza “ Sanen “ fornisce latte dolce e non troppo selvatico. Il latte non va cagliato appena munto. Si munge al mattino almeno 12 ore di riposo e lo si lavora alla sera.
Strumenti * Un tempo erano di vimini. ** rame stagnato
Forme per il formaggio o Fusella 10 di ogni tipo Trovare le forme di varie misure, di plastica * diametro 20 – 15 cm e altezza di 5 cm.
Forme per la ricotta Oggi di plastica. *
Pentola Almeno due Solo in acciaio inossidabile ** per 10 litri di latte pentola da 15 litri. Un tempo di rame stagnato
Termometro Due Da casaro ( in farmacia o in drogheria)
Fruste Almeno due proporzionali alla pentola Oggi in acciaio inossidabile**
Caglio ( In farmacia o in drogheria) Caglio si compra in bottiglie da 750
Contenitori Almeno due per il formaggio e due per la ricotta Di plastica per far scolare le forme di formaggio e di ricotta – rettangolari con un altezza dai 5 a 8 cm. Che contengono almeno due fuselle.
Asse di legno Almeno due Per girare il formaggio quando si pulisci
Schiumarola per la ricotta una Oggi In acciaio inossidabile *
Cucchiaino uno In acciaio inossidabile **
Coltello uno Proporzionale alla pentola in acciaio inossidabile con il manico di plastica e non di legno.
Luogo Stanza Massima pulizia ambiente secco ed asciutto
Ogni 10 litri di latte.
Porta il latte a 36 gradi, e poi gli metti il caglio per 10 litri - un cucchiaino da the in mezzo bicchiere di acqua - versi e mischi il caglio bene, il latte va tolto dal fuoco
e
lo lasci riposare fino quando caglia ( circa 50 minuti).
Una volta fatta la cagliata fai un taglio a croce e poi tanti taglia a destra e a sinistra partendo dal centro
e
lo lasci riposare per un 15 minuti.
Prendi una frusta e rompi tutto in piccoli pezzi , grandi come una nocciola.
e
lasci riposare il tutto sempre nella pentola.
Una volta che la cagliata è depositata al fondo della pentola, togli il siero e lo metti in una altra pentola fino a scoprire la cagliata ( servirà per fare la ricotta)
Con le mani delicatamente fai una palla unica facendo uscire tutto il siero e lo metti nelle forme.
Il cestello devi metterlo in un contenitori di plastica per scolare.
Una volta riempito la fusella premere delicatamente il composto.
Va salato da una parte e il giorno dopo dall’altra, tenere in una stanza a 8 gradi su un asse di legno e tutti giorni lo devi pulire e rivoltare ( in acqua tiepida con poco sale e poi lo asciugarlo e lo rimetti sul legno) fino a maturazione.
RICOTTA DI CAPRA.
Quel siero che hai raccolto dal formaggio lo rimetti sul fuoco e porti il tutto ad 80 gradi,
versare ½ litro di latte di capra nel composto del siero
e
Riportare il tutto a 92 gradi,
Quando la ricotta viene in superficie spegni il fuoco
e
Lasci riposare il tutto, poi raccogli la ricotta e lo metti in uno stampo di plastica.
La lasci raffreddare in un contenitore di plastica rettangolare per raccogliere il resto del siero,
Una volta fredda metti in frigorifero ed il giorno dopo è buona da mangiare.
PS - per fare buoni prodotti bisogna osservare il procedimento almeno un paio di volte, soprattutto per imparare le posture di come girare il caglio e premere il formaggio quando lo metti nelle fuselle.


Stesura incompleta
1a correzione maggio 2010.

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