Le conclusione le dedico a mio padre. Parigli e sparigli, certezze matematiche e sfumature dei numeri: la testimonianza di un grande amico. Quaranta carte contro la fortuna: guida ad una sfida impossibile. Il suo grande rammarico nell’ultimo periodo della sua vita ?. Una partita di tresette, di scopone o di briscola fumando il mezzo pacchetto di sigarette “alfa”. Se ne andato ad 63 anni, me lo ricordo, combatté come un nemico, la malattia, che cercava di adombrare la luce dei suoi occhi, dei suoi pensieri e delle sue preoccupazioni. Aveva paura di lasciar sola mia madre avevano vissuto 30 anni insieme, sposi ed amanti felici, neanche la lontananza durante la seconda guerra mondiale turbò il loro amore. Cesarin aveva imparato a giocare nella sua Brisino. Mi ricordo nella nostra casa, quando rientravo dal mio girovagare per il mondo, il parlare delle cose, dove poteva coniugare la pratica al pensiero. Con le carte mi diceva e come nella vita bisogna giocarle tutte, e mi raccontò di uno scritto mi pare di Mario Soldati che aveva letto ed lo aveva entusiasmato. “Dove sta il segreto mi diceva di questo straordinario gioco, semplice e complicatissimo allo stesso tempo?. Cominciamo da un verso di Dante: “Al poco giorno / e al gran cerchio d'ombra”. Supponiamo che il “poco giorno” aumenti, così come aumenta, a furia di giocare, la conoscenza del meccanismo dello scopone. Supponiamo che il “poco giorno” diventi progressivamente una grande, grandissima luce: ebbene, forse che, l'ombra - l'ignoranza del meccanismo scoponesco - diminuirà? Al contrario: sarà più vasta, aumenterà nella misura in cui è aumentata la luce. É così che nell'umile e complicatissimo (ma senza manifeste pretese filosofiche) gioco dello scopone, i giocatori normali si sentono senza saperlo vicini ai massimi filosofi nel problema dell'esistenza: tanto più vicini alla verità quanto più immersi nella meditazione del mistero. Guardatevi dentro e guardatevi intorno. Capirete allora che soltanto gli sciocchi si credono intelligenti. E che soltanto gli intelligenti si confessano sciocchi. Lo scopone c’insegna anche queste lezioni elementari. Molti giochi, forse tutti, partono dall'antichissima invenzione d’Ulisse, il Cavallo di Troia: una forma visibilio che ne contiene un'altra, diversa e invisibile. Il dado ha 6 facce contrassegnate da 6 numeri ben noti e visibili: ma, gettandolo, s’ignora su quale si fermerà. Le carte hanno ciascuna due sole facce: ma una é unica e le altre possono essere molte, come al lotto, dove sono 90. Nel bridge le facce ignote sono 52. Nei tarocchi 72. Nel tressette, nello scopone e nella briscola 40. La perfezione mi diceva e di chi é capace di avvicinare o addirittura di raggiungere la precisione di un calcolatore elettronico, tocca rapidamente, fulmineamente, l'estremo limite del calcolo; prima di giocare una carta avrà ridotto, in qualche istante, la propria perplessità alle semplici alternative connesse con l'invenzione di Ulisse, ossia col dato di fatto che alcuni elementi gli sono ignoti ( certe carte possono o non possono essere in mano agli avversari o al socio) e avrà fatto i suoi calcoli in ragione della minore o maggiore possibilità: dovendo scegliere la carta da giocare si affiderà alla fortuna. Questo giocatore quasi perfetto godrà dunque di un divertimento ridotto al minimo. Si reputerà fortunato se il suo socio gli è inferiore perché , se fosse bravo come lui, il nostro giocatore perfetto dovrebbe accontentarsi dallo spasso miserabile concesso allo zibidì zibidé.” Il metodo. “Proverò mi diceva, a non sentirmi una macchina, ma di riflettere in una partita di scopone l'intera vita come in uno specchio simbolico di tutte le sue avventure, sorprese, colpi di scena, astuzie, pazienze, dispiaceri, desideri, estasi e rimpianti. Alla base del semplicissimo meccanismo aritmetico secondo cui, per esempio, il 5 è sempre uguale a 5, ma è sempre uguale anche alla somma di 1+4 o di 2+3 o di 2+2+1, noi scopriamo che, aumentando le combinazioni sino a tutte quelle che si possono ricavare mescolando quattro serie identiche dei numeri dall'1 al 10, produciamo un turbine di parigli, sparigli i e riparigli necessari a far tornare i conti, come sempre tornano alla fine della mano: un turbine così vario e fantasioso che, per divenirci, non serve, anzi nuoce giocare a denari. La vittoria e la contentezza dei vincitori, orgogliosi quando credono di essere stati abili e altrettanto, se credono diversamente, orgogliosi quando credono di essere stati fortunati, dopo qualche minuto di compiacimento si mescola, e quasi si tempera, con un senso di riconoscenza e di simpatia verso gli sconfitti, insieme ai quali i vincitori si sono soprattutto divertiti e senza i quali il divertimento non sarebbe stato possibile. Analogamente, il dispiacere degli sconfitti, non va mai oltre un breve rammarico: la mortificazione che trovano davanti ai vittoriosi avversari viene presto dimenticata, superata da una certezza di fraterna parità.”L’epilogo, è che dopo una partita di scopone o di un tressette o di una briscola, si comincia subito a parlare delle vicende del gioco, che è stato così fantastico, così interessante per se stesso, indipendentemente dalla sua conclusione. Ci siamo appassionati insieme, gomito a gomito, come in una catena magica e spiritosa, non spiritica: per lunghe ore ci avvinceva tutti e quattro in una stessa, spasmodica curiosità per le sorti imprevedibili del gioco, per i nodi inestricabili che ora parevano stringersi e ora allentarsi seguendo l'una o l'altra delle loro due nature: già, perché le carte erano sempre le stesse, ma ciascuna, ogni volta, poteva essere giocata con l'aiuto della fortuna o con l'alleanza dell'abilità. Insomma, quando si parte il gioco della scopa, ossia, quando si finisce la partita di scopone, nessuno rimane dolente. Così non è stato per la sua ultima partita, l’avevo salutato prima di entrare in sala operatoria, con uno sguardo, mi aveva donato la sua vita. (Zurigo, 20 agosto 1972 ore 15.30. ).
1a correzione maggio 2010
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