IX Capitolo
Le feste tradizionali. Le feste, tra il sacro ed il profano.
Il ciclo dell’anno, le stagioni. Il lavoro nei campi.
Uno degli aspetti della cultura popolare cui è più facile entrare in contatto è quello della festa: il momento in cui la fatica del quotidiano sembra messa da parte e certe resistenze agli stimoli esterni sembrano
per rendere più agevole, oltre più gradevole, l’approccio con l’aiuto della gioiosità e insieme della solennità dell’atmosfera festiva. Ma questa facilità, questo aprirsi della comunità tradizionale verso chi viene
fuori nel momento della festa non deve indurci a considerare con superficialità queste manifestazioni. Esse infatti non sono semplici occasioni di divertimento ma corrispondono a motivazioni sociali assai più profonde, spesso da cogliere per chi è ormai estraneo mondo tradizionale, anzi si può dire che, quasi paradossalmente, la componente “divertimento” vi ha una funzione relativamente proprio in contrapposizione quanto avviene in tante feste “folcloristiche” pseudo-tradizionali, inventate di sana pianta per motivi di richiamo turistico. Anche questo, le feste tradizionali rivestono un preciso carattere rituale: e vanno perciò considerate come atti cerimoniali, in cui nulla è gratuito e tutto è previsto dalla consuetudine.
Pure la loro collocazione nel tempo non è si dispongono infatti secondo date precise, all’interno di quello che si suole chiamare “il ciclo dell’anno”. Questo “calendario popolare” è scandito una nutrita serie di occasioni festive, che possono coincidere o meno con quelle del calendario liturgico cattolico, e che si susseguono con densità diversa nei vari periodi dell’anno, in rapporto anche alle esigenze dei lavori agricoli. Proprio perché coincide in molti suoi momenti col calendario liturgico, il calendario popolare presenta la singolarità di essere insieme solare e lunare. Tutto il vasto ciclo delle feste di Carnevale, Quaresima, Pasqua, Pentecoste è regolato infatti in base ai cicli perciò esse si spostano, sono “mobili”, alle date del calendario solare. Il tempo della festa è qualitativamente diverso dal tempo “quotidiano”: esso è dotato di particolari potenzialità che possono essere utilizzate, per così dire, in modo da proiettarne gli effetti anche sul tempo ordinario. Così, per esempio, la conoscenza di scongiuri e formule magiche deve essere trasmessa, perché essi abbiano efficacia, nella notte di Natale. Anche a determinati cibi tradizionali, consumati nelle occasioni festive cui sono collegati, vengono attribuite potenzialità magiche e si dice che essi tengano lontane le malattie o portino ricchezza a chi se ne nutre. Inoltre, dallo svolgimento buono o cattivo di determinati elementi della cerimonia, si ritiene di poter trarre auspici sull’andamento delle stagioni e dei raccolti.
Vediamo ora di individuare le caratteristiche delle varie festività che segnano il ciclo dell’anno e che sono connesse tra loro in particolari gruppi, più o meno definiti, che presentano caratteri sostanzialmente simili in tutta Italia. Nel nostro Paese l’inizio del calendario popolare si può dire che non coincida con quello dell’anno solare. Infatti dopo un periodo piuttosto povero di feste tradizionali che corrisponde più o meno al mese di ottobre, esso si apre con l’inizio di novembre, e questo è un fatto molto arcaico in quanto anche l’antico calendario celtico, espressione di un livello culturale identificabile con le più antiche culture agricole europee, cominciava col primo novembre. Questa data apre una serie di atti cerimoniali che si estendono all’intero periodo invernale, venendo a intrecciarsi, alla fine, con quelle che caratterizzano invece il ciclo primaverile. Come si sa, la liturgia cattolica pone all’inizio di novembre le feste di Tutti i Santi e dei Morti: due solennità che, in pratica, coincidono per il loro significato; infatti le anime dei morti vengono invocate perché intercedano per i vivi allo stesso modo dei santi. Perciò l’inizio dell’anno festivo popolare è segnato dal ritorno sulla terra delle anime dei morti. A questa credenza si ispirano tutta una serie di atti destinati, da un lato a favorire le anime dei morti (lasciando loro del cibo e il fuoco acceso nelle case che tornano a visitare, in particolare pane, delle castagne cotte o abbrustolite e del vino rosso) dall’altro a evitarne il contatto. In alcune località si crede che le anime dei morti lascino la terra soltanto all’Epifania, segno evidente che, almeno in origine, tutto il ciclo invernale era caratterizzato dalla presenza dei morti tra i vivi. Si raccontava ai bambini che sono i morti a portare loro i doni nella notte tra l’1 e il 2 novembre: è il primo caso di un’altra caratteristica ricorrente del ciclo invernale costituita dalle feste in cui avvengono distribuzioni di doni, che, almeno a livello infantile, vengono attribuite a un gruppo di esseri soprannaturali, quali i morti, San Nicola (5 dicembre), Santa Lucia (13 dicembre), il Bambino Gesù, i Re Magi o la Befana, e questi esseri spesso, non solo premiano i buoni, ma puniscono i cattivi e hanno anche aspetto pauroso.
Alle feste che comportano distribuzione di doni si contrappongono quelle, delle Questue, che comportano la richiesta di doni. Le cerimonie di questo tipo, non avvengono esclusivamente d’inverno ma anche in altri periodi. In linea generale questo è il loro svolgimento: gruppi di persone passano di casa in casa eseguendo un canto tradizionale, a volte con accompagnamento musicale, che allude in qualche modo alla festa del giorno, chiedendo un dono per i questuanti (dono che in genere è costituito da cibi come uova, lardo, insaccati e vino, o anche, e oggi sempre più spesso, denaro) formulando auguri per la famiglia visitata o spesso anche maledizioni per chi non ha voluto donare niente, eventualità, quest’ultima, in realtà piuttosto rara.
Il fenomeno ditali Questue rituali è di interpretazione più complessa di quanto potrebbe apparire. In primo luogo le Questue, nel mondo tradizionale, sono rese possibili proprio nel periodo invernale dal fatto che in questi mesi le dispense sono più rifornite di viveri, per cui, da questo punto di vista, le Questue, rappresentano, in qualche modo, un sistema di redistribuzione di beni. Ciononostante non va sottovalutata la funzione magica di questi rituali, destinati a promuovere il benessere delle famiglie del paese. Depongono in questo senso: il fatto che vengono visitate dai cantori anche le famiglie più povere, che spesso i doni fatti sono puramente simbolici e che il non visitare una famiglia viene considerato come una grave offesa ai suoi membri.
Le Questue invernali vengono effettuate praticamente in tutte le festività di questo periodo: “per le anime dei morti” (e in questo caso parte delle offerte ottenute è destinato a celebrare messe per i defunti), “per San Martino” (questo santo, la cui festa ricorre l’11 novembre, è considerato il santo dell’abbondanza, si fanno i traslochi e si travasa il mosto e si beve il vino novello con le caldarroste), “per Natale, per Capodanno, per l’Epifania, per Sant’Antonio Abate” (17 gennaio).
Anche nel mondo popolare il Natale assume un rilievo particolare tra le feste invernali anche se non come nel mondo borghese. Importanza particolare hanno i rituali domestici ma non mancano certo le celebrazioni comunitarie, consistenti soprattutto nella recitazione dei drammi della natività, di origine colta ma arricchiti da vari elementi tipicamente popolari, come il Gelindo in Piemonte. In passato avevano grande rilievo anche altre operazioni: si provvedeva, a mezzanotte in punto, ad attingere dell’acqua ritenuta dotata di particolari qualità magiche; nel camino veniva acceso un ceppo d’albero cui si rivolgevano singolari operazioni rituali, come offerte e libagioni, di carattere molto arcaico ma di interpretazione non chiara: probabilmente il ceppo era simbolo della continuità dell’unità familiare. Poco chiare sono anche le relazioni tra il ceppo e l’albero di Natale: per cui, contrariamente a quanto in genere si crede, l’albero di Natale non è necessariamente di origine nordica, anche se la forma che esso ha oggi si avvicina alle consuetudini dei paesi anglosassoni; infatti era largamente presente nelle tradizioni di gran parte del nostro Paese, anche se le piante usate erano, al posto dell’abete, l’alloro, il ginepro, il pioppo. In ogni caso l’albero di Natale ha un’origine comune paleo-europea, e il suo collegamento con la data del Natale cristiano è probabilmente secondario. E anche probabile che il Natale cristiano abbia sostituito una più antica celebrazione del solstizio d’inverno, destinata a onorare il natalis solis invictis, la nascita cioè del dio Mitra.
Il ceppo di Natale veniva riacceso ogni sera in modo che bruciasse fino all’Epifania: ciò sottolinea lo stretto rapporto esistente tra queste due feste, rilevato anche nella storia della liturgia, infatti alcune chiese orientali continuarono a lungo a celebrare la nascita di Cristo il 6gennaio.
Il periodo di dodici giorni, tra il Natale e l’Epifania, è di grande importanza nel calendario popolare europeo.
In passato, in questo lasso di tempo, la Chiesa non celebrava alcun rito religioso: perché si riteneva che ciò desse modo alle forze occulte di manifestarsi liberamente. Soprattutto per questo il folclore dei paesi germanici e slavi colloca l’apparizione notturna di esseri di carattere demoniaco, spesso impersonati drammaticamente da giovani con mascheramenti diabolici, in questo periodo. D’altra parte i dodici giorni sono considerati tradizionalmente come una specie di compendio dell’anno che seguirà e dal tempo che fa in ciascuno di essi, chiamati generalmente Calende, come da altri segni, vengono tratti presagi sull’andamento del tempo in ciascun mese dell’anno a venire. Presagi di vario genere si traggono anche a Capodanno e all’Epifania: in particolare il Capodanno è considerato determinante ed è estremamente diffusa la credenza secondo cui quello che si farà o che accadrà in 9uel giorno si ripercuoterà su tutto il corso dell anno. Perciò in quella giornata si evitano le azioni e gli incontri spiacevoli, mentre si cercano quelli piacevoli.
Significato, almeno in origine propiziatorio, ha anche una speciale cerimonia del “Capo- danno”, ancora molto diffusa, benché oggi generalmente “trasportata” a Carnevale: la cosiddetta rappresentazione dei mesi, in cui dodici personaggi, travestiti in modo da simboleggiare ciascuno uno dei mesi, cantano, uno dopo l’altro, strofe che ne decantano caratteristiche e pregi.
L’atto estremamente diffuso di gettare via gli oggetti vecchi e inservibili all’inizio dell’anno nuovo è anch’esso un rito che simboleggia l’eliminazione del male. Finalità sostanzialmente analoga hanno, almeno nell’interpretazione che danno gli attuali fruitori di questi riti, altre cerimonie che sono scaglionate nel mese di gennaio e che rappresentano la cacciata o la distruzione di un essere mitico di carattere minaccioso o dell’inverno stesso e che culminano spesso col rogo di un fantoccio o semplicemente con un falò. Così con i fuochi dell’Epifania, che del resto hanno anche un preciso significato di propiziazione agraria, si “brucia la vecchia”, la Befana, figura che, solo di recente, ha assunto, e probabilmente perché confusa con i Re Magi, il carattere di una bonaria portatrice di doni ai bambini. Noi r ragazzi giravamo per il paese facendo rumore con latte vuote, con le raganelle e campanacci per “cacciare gennaio”, rappresentato da un fantoccio che viene trascinato ai margini dell’abitato e dato alle fiamme. L’Epifania e Sant’Antonio Abate, due feste di grande rilievo nel calendario popolare, sono anche solennizzate con rappresentazioni in cui già pienamente si percepisce un elemento carnevalesco, cosa spiegabile col fatto che le date tradizionali dell’inizio del Carnevale sono il Natale, l’Epifania o Sant’Antonio. Queste rappresentazioni hanno come tema il viaggio dei Re Magi, la vittoria di Sant’Antonio sui diavoli, ma possono consistere in scenette satiriche e comiche di carattere profano, come avviene con molte befanate toscane.
L’inizio del ciclo primaverile può essere considerato il primo giorno di marzo. Questa data è caratterizzata dalla cerimonie di tipo particolarmente arcaico, propiziatorie per la stagione del risveglio del mondo vegetale; così, per esempio un tempo , i giovani giravano per i campi durante la notte con lumi accesi per “far lume a Marzo” oppure agitando campanacci per “chiamare l’erba”. Cosa molto caratteristica, questi riti si combinano con cerimonie, forse solo apparentemente burlesche, che consistono nella proclamazione di matrimoni, più o meno improbabili, tra le persone non sposate del paese, fatta da qualche vetta o dagli alberi più alti. Un rito connesso con questo tipo di cerimonie, ma in genere privo della componente satirica e burlesca, è il pronunciare, a gran voce, nomi di ragazzi e ragazze mentre nella notte, da un luogo sopraelevato, si lanciano lontano dischi di legno, precedentemente infuocati. Questo rito, pur svolgendosi generalmente in primavera, non ha una collocazione calendariale definita.
Molte altre cerimonie di carattere arcaico, e certo dotate in origine di una propria funzione autonoma all’interno del ciclo primaverile, appaiono oggi inglobate nel grande complesso dei rituali di Carnevale. Un esempio può essere l’uso di fingere di arare le strade del paese e di seminarvi quando durante l’anno, nella comunità, non siano stati celebrati matrimoni. Il Carnevale si può considerare come un complesso rituale di collegamento tra il ciclo invernale e il ciclo primaverile. La sua data si è venuta spostando, nell’uso, dal periodo immediatamente successivo al Natale, e quindi dal periodo dei dodici giorni, a quello che si colloca tra febbraio e marzo. La sua durata effettiva tende però, quasi dappertutto, a ridursi agli ultimi giorni prima della Quaresima. Attualmente infatti il Carnevale fa formalmente parte del ciclo pasquale, definito come il periodo che precede l’astinenza quaresimale; e come tale, è una festa (o più esattamente un tempo di festa cioè un tempo disponibile per qualunque comportamento festivo) propria del calendario lunare. In ogni caso il Carnevale è rimasto totalmente estraneo a qualunque influsso del rituale cattolico, più di quanto sia avvenuto per qualsiasi altra manifestazione folclorica di tipo profano. Nel suo complesso il Carnevale rappresenta senza dubbio il momento più significativo dell’intero calendario popolare e perciò verrà trattato a parte, anche per sottolineare la complessità e la ricchezza di motivi che lo caratterizzano.
Conclusosi con il Mercoledì delle Ceneri il periodo delle libertà tradizionale si apre quello dei quaranta giorni delle astinenze quaresimali. Nel mondo popolare tradizionale, profondamente penetrato dai precetti della religione cattolica, le prescrizioni della chiesa in materia di digiuni venivano rigidamente osservate. Il lungo periodo di privazioni veniva scandito, nell’attesa della Pasqua, con l’aiuto di curiosi calendari costituiti per esempio da una cordicella con quaranta nodi, cui ogni giorno si scioglieva un nodo; oppure si confezionava un fantoccio rappresentante una vecchia nel cui corpo erano piantate sette penne che rappresentavano ciascuna una delle settimane che compongono la Quaresima.
Il complesso Quaresima-Settimana-Santa, di immediata ispirazione cattolica, viene a inserirsi, in un certo senso, come un’intrusione nell’antico ciclo di primavera. Ciò non significa comunque che esso non si sia integrato nel sistema magico-simbolico delle cerimonie folcloriche tradizionali. Effettivamente, per esempio, le varie date della Settimana Santa appaiono collegate, secondo una costante della concezione popolare del tempo della festa cui abbiamo già accennato, a una serie di pratiche agricole, in base a determinate caratteristiche di ciascun particolare episodio religioso ricordato dalla Chiesa per ognuna di esse. Così, per esempio, al momento in cui al Giovedì Santo si legavano le campane, i contadini provvedevano a legare, con un salice, le piante affinché i frutti “legassero”, cioè non cadessero prima di essere arrivati a maturazione. I riti pasquali tuttavia ricalcano, in larga misura, cerimonie religiose di tipo più o meno ufficiale: processioni a carattere penitenziale (con la partecipazione dì flagellanti, secondo un costume oggi non più, ma che un tempo era presente nel mondo cattolico), processioni drammatiche in cui (rappresentati da personaggi viventi o da gruppi statuari) vengono rievocati i vari episodi della Passione e della Morte del Cristo, sacre rappresentazioni ecc.
Questa manifestazione vengono spesso celebrate con grande fasto e profonda partecipazione.
Molto caratteristiche erono un tempo del ciclo primaverile vero e proprio la cerimonia relativa al primo maggio, o Calendimaggio,. Una delle forme più tipiche di questo rito consisteva nel piantare, sulla piazza del paese, un albero (che spesso si richiede sia stato rubato nottetempo) tagliato alla base, privato della corteccia del tronco e ornato di nastri, specchi ed eventualmente cibi. “L’albero di maggio” o semplicemente “maggio”, resta così eretto per tutto il mese ed è poi abbattuto e bruciato.
Un’altra cerimonia del maggio consisteva in un ramo d’albero che i giovanotti appendono di notte alla porta delle case dove abitano delle ragazze. La scelta dell’albero ha un valore simbolico, corrispondente a un giudizio positivo o negativo sul carattere della fanciulla.
Il mese di maggio, se è cantato dalla poesia popolare come il periodo in cui la primavera giunge al suo massimo splendore, è anche temuto come epoca in cui vagano liberamente sulla terra gli spiriti maligni. A questa credenza si collegano da un lato i numerosi riti di esorcismo degli ossessi che, in santuari rinomati per questa attività, si celebrano durante questo mese, e, d’altro lato, anche il divieto, già testimoniato nell’antichità classica, di celebrare matrimoni in questo mese. Le cerimonie folcloriche estive sono anch’esse numerose ma meno legate a scadenze precise e coincidenti in tutta Italia, questo forse anche perché sono spesso in rapporto con eventi del mondo agricolo, che cadono, ovviamente, in date diverse nelle varie annate e nelle varie regioni. Tra le più importanti a data fissa dell’estate vi sono San Giovanni, il 24 giugno, e l’Assunta il 15 agosto la grande festa del nostro paese. La prima presenta molti elementi arcaici e gli studiosi, in genere, ritengono che si tratti di una celebrazione del solstizio d’estate. Tra i vari riti propri di questa festa hanno particolare importanza i falò, la raccolta delle erbe medicinali, che in questo giorno si ritiene raggiungano la massima efficacia, la purificazione con la rugiada, e, , la formazione dei patti di “comparatico” in cui, presso il falò, un uomo e una donna stringono un patto che li rende simbolicamente compare e comare, come se avessero insieme tenuto a battesimo un bambino.
Carattere molto diverso e almeno apparentemente meno unitario hanno le celebrazioni di ferragosto (la Madonna Assunta nel calendario religioso). Le cerimonie collegate con il raccolto agricolo sono molto importanti dal punto di vista etnografico, in particolare i riti che riguardano la mietitura, la vendemmia o la raccolta della frutta o delle noci ( un tempo era l’unico olio che si adoperava). L’abbandono dei campi e la meccanizzazione agricola ne ha fatte scomparire una buona parte e la loro interpretazione è ancora incerta. Molto singolare è la cerimonia che trasforma la mietitura nella caccia a un animale, per esempio un caprone (rappresentato da un uomo mascherato) che viene braccato finchè si nasconde nell’ultimo covone. Più frequenti, e tuttora celebrate con molta solennità, sono le feste di ringraziamento per il raccolto, nel rituale cattolico, spesso consistono in processioni in cui vengono esposti o speciali pani poi consumati secondo un cerimoniale preciso, oppure elaborati trofei di spighe di grano spesso di dimensioni gigantesche.
Inizio con due santi, il primo veniva venerato perché protettore degli animali della stalla, questa tradizione si è persa per la chiusura di quasi tutte le stalle nel paese. Il secondo è una questione di famiglia, nella chiesa vi è anche una statua credo che da molto tempo non sono portati in processione, l’ultima che ho assistito appena dopo la seconda guerra modiale nel 1948.
Nato a Eracleopoli, (fine del III secolo -metà del IV). in Egitto, si ritirò nel deserto, dove condusse vita di anacoreta e diede inizio con i suoi seguaci a questa forma di ascetismo rigoroso, che precedette il monachesimo. La devozione per S.Antonio abate è stata sempre molto sentita, oltre che molto diffusa. (La Vita di Abba Antonio, opera del vescovo di Alessandria sant'Atanasio (295-373), fu il libro più letto e copiato dell'antichità.) Questo perchè S. Antonio è considerato un Santo popolano, che non fa miracoli eclatanti, ma riesce a tenere a bada il demoniaco Genio del Male che insidia la vita delle persone comuni (artefice di malattie, sventure e odio tra le persone). Per il popolo, quindi, S. Antonio rappresenta un protettore dell'uomo in tutti i suoi bisogni, nei pericoli, nelle tribolazioni della vita, un custode di tutto ciò che nella vita dell'uomo è più caro. La Chiesa lo santificò. La tradizione popolare attribuì alle sue reliquie la virtù di guarire dalla peste, detta «fuoco sacro», ed in alcune località si accendono,nella sua festa (17 gennaio) grandi falò in suo onore, attribuendo a quei tizzi virtù miracolose. Lo si riconosce anche come protettore di animali domestici; di qui, per esempio, la benedizione dei cavalli e soprattutto la benedizione degli animali di stalla. La cosiddetta «Regola di S.Antonio» non è certo opera sua; anche sulle lettere a lui attribuite si nutrono seri dubbi. Temi frequenti, nelle tradizioni popolari, sono le sue lotte con i diavoli; sempre secondo la leggenda, sarebbe morto a 105 anni, verso il 356. Del suo tipo di vita isolata possono considerarsi la continuazione delle l’aure orientali e vari gruppi di eremiti in Occidente, soprattutto nell'Italia meridionale.
Il 2 febbraio, giorno della Candelora, in chiesa venivano benedette le caratteristiche candele (fini, lunghe, a volte colorate) che venivano poi portate nelle abitazioni per essere utilizzate sia contro tempeste e grandine, sia con gli spiriti maligni in genere. Non di rado queste candeline venivano intrecciate anche con i ramoscelli di ulivo della Domenica delle Palme. (Frittelle, la magia della Candelora, in origine, festa pagana di luce e rituali propiziatori, rimasti peraltro strettamente intrecciati alla liturgia cristiana. 2 febbraio, purificazione delle Vergine Maria, recita il calendario liturgico. Accompagnata però dalle candele ereditate dai riti pre-cristiani di questo periodo dell'anno. Nel calendario celtico, ecco Imbolc, festa di purificazione, accompagnata da fuochi e torce. Spigolando nella storia di Roma antica, troviamo la corsa con le torce della Festa di Proserpina, figlia di Cerere rapita da Plutone, simbolo del grano che germina uscendo dal buio della terra. E, sopratutto, le torce dei Lupercalia, complesso rituale di purificazione e fertilità che si celebrava alle Idi di febbraio, quando febbraio era l'ultimo mese dell'anno. Progressivamente, le candele sostituirono le torce. Candelora quindi, e rituale benedizione dei ceri. La si pratica ormai di rado. Nella maggior parte dei casi però, restano vivi solo i detti popolari: "Candelora, l'inverno sum fora, Ma se al sluscia e tira vent, l'inverno sum ancur dentr". Già, all' inizio di febbraio, i giorni si allungano sensibilmente, il grano spunta da terra, un ritorno del gelo sarebbe disastroso per le colture. Da qui una serie di rituali scaramantici per tenere a bada il buio, la sfiga e la carestia. E tra questi, le frittelle (piene o in diverse fasi, a seconda di come le si piega) di fine inverno. Frittelle che vanno fatte saltare a turno tenendo una moneta d'oro nella mano che non impugna la padella. Frittelle che vanno offerte alle divinità della casa, lanciandone una, l'ultima, sull'armadio della cucina dove si sbriciolerà pian piano, in attesa di essere sostituita il 2 febbraio dell'anno successivo. Guai a chi la buttasse via durante le pulizie di primavera! Oggi è uno scherzo venato di malcelata superstizione.
Per golosi e neo pagani, ecco la ricetta , “ d’ la zia Sunta” .
Per 20 frittelle Per una ventina di frittelle (3 a testa), vanno versati in una ciotola 250 grammi di farina e un pizzico di sale. Fate la fontana. Rompetevi tre uova. Con un cucchiaio di legno, incorporatele alla farina. Quindi versate progressivamente, battendo con una frusta, mezzo litro di latte. Se è rimasto qualche grumo, potete sempre passare la pastella al setaccio. Se avete in mente frittelle dolci, aggiungete a questo punto 2 cucchiai di zucchero; frittelle fini fini optate per un quarto di litro di latte e un quarto d'acqua; più leggere ancora, sostituite un bicchier di latte con un bicchier di birra; più morbide incorporate un bianco d'uovo montato a neve fermissima. O un cucchiaino di lievito in polvere. Oppure 3 cucchiai d'olio o di burro fuso. Anche un eventuale profumazione alcolica, va aggiunta prima del riposo. Mai provato l'acqua di fior d'arancio? Sublime! L'estratto di vaniglia, poi! E' davvero importante lasciar riposare la pastella un ora o due. Non solo. "Non disturbate la farina mentre sta sposando il latte", Avrete però notato che, spesso, durante il riposo, la farina assorbe il latte con fin troppo amore. La pastella, versata col mestolo, deve fare "il nastro". Se si è addensata troppo, va allungata con qualche cucchiaio d'acqua e mescolata nuovamente. Un altro fattore di riuscita riguarda gli attrezzi per la cottura delle frittelle. Niente di speciale. Anzi. Però servono assolutamente: un mestolino per versare la pastella, una padella antiaderente con il fondo bello piatto, meglio se nuova, una spatola larga per voltare facilmente la frittella semi-cotta. E, per ungere la padella giusto quanto basta, un piattino con l'olio o burro fuso. Intingetevi mezza patata infilzata con una forchetta. La parte tagliata della patata, piatta, scorre veloce sul fondo della padella. Unge poco ma in modo uniforme. In tempi di penuria, quando non si disponeva nemmeno di un pezzo di grasso di prosciutto e il burro era davvero poco, si usava ungere la padella con un fagottino di stoffa appena intinto nel burro fuso. Un velo per uno e, con poco, pochissimo, tutte le crêpes avevano il buon sapore del burro. Oggi ancora, questo metodo consente di asportare dalla padella le eventuali briciole bruciate della frittella precedente. Rassegnatevi, la prima non viene mai bene. L'ultima nemmeno. Se invece non vi rassegnate né a cuocere frittelle su frittelle mentre gli altri le mangiano in un batter d'occhio, né ad avere la casa e i capelli che sanno di fritto quando arrivano gli ospiti, cuocetele tutte prima e tenetele in caldo, impilate su un largo piatto piano posato su una pentola d'acqua fremente, coperte con un foglio d'alluminio o un foglio di carta forno unta di burro. L'unico momento veramente delicato della cottura di una frittella non sta nel voltarla. Difficile è spandere bene la pastella quando la si versa. Il polso deve ruotare ampio e veloce per distribuirla, sottile e uniforme, su tutto il fondo della padella. Fatto questo e lasciata cuocere la frittella circa 3 minuti, voltarla con un colpo di spatola è un gioco. Farla invece saltare è un azzardo da riservare a veri cuochi giocolieri. Bene o male, le abbiamo cotte. Mangiamole! Salate, arrotolate, affogate nella béchamelle e il formaggio, strettamente avvolte attorno a prosciutto e ripieni fantasiosi, gratinate, in mille modi. Dolci, in due mila modi. Semplicissimo, economico e gustoso. La ricetta che mi è parsa più golosa, nella sua semplicità è la salsa al mandarino, ingredienti: mezzo litro di succo di mandarino (circa 15 frutti), 40 grammi di zucchero, 1 cucchiaino di fecola di mais. Spremete gli agrumi, filtrate il succo e mettetelo in un pentolino con lo zucchero. Fate bollire piano, giusto per sciogliere lo zucchero. Diluite la fecola di mais con un cucchiaio o due di acqua. Versatela nel pentolino senza smettere di girare. Fate bollire 15 secondi. Lasciate raffreddare. Niente male con frittelle spalmate di un velo di confettura di albicocche, piegate in quattro e passate 5 minuti in forno a 180 gradi (coperte d'alluminio per non farle seccare). Servite con la salsa al mandarino a parte, in salsiera. E non vi dico che cos'è versata su crêpes spalmate di salsa al cioccolato!
Ecco servite le frittelle della Candelora o meglio ancora della pro zia Assunta.
S. Biagio, che cade il 3 febbraio, è stato sempre un culto abbastanza sentito nella tradizione Brisinese. Una usanza molto praticata era la "benedizione della gola”, che il sacerdote effettuava con una piuma intinta in olio benedetto e recitando, nel contempo, una invocazione a S. Biagio vescovo e martire. Malgrado la intensa vita alcune tradizioni rimangono non più come l’800 ma sono sempre impresse nei nativi.
Ci sono stati, negli anni '50, carnevali memorabili, con carri ecc., (carnevale di Nebbiuno, Pisano, Arona e Intra Pallanza ) che hanno coinvolto l'intera comunità, tradizione voleva che i grandi si mascheravano e andavano casa per casa senza farsi riconoscere. Bevendo vino rosso e mangiando dolci secchi.
Il Carnevale
Il Carnevale rappresenta certamente il momento più significativo dell’intero ciclo festivo del calendario popolare: unico rimasto in sostanza totalmente indenne dall’influsso della Chiesa, che pure ne ha sempre aspramente combattuto le manifestazioni, considerate peccaminose e pagane. Attualmente, il Carnevale, sia nelle sue forme tradizionali, sia in quelle più recenti, vive un momento di intensa ripresa, dopo avere attraversato un periodo di grande decadenza, che poteva indurre a ritenere prossima la sua scomparsa definitiva. E tornato infatti ad attirare l’attenzione del pubblico e degli studiosi, che ne hanno messo in luce i molteplici motivi d’interesse storico, psicologico, teatrale, ecc.
Non è facile precisare quali fossero i contenuti originari del Carnevale, anche perché si presenta, caratteristica tipica, più che come un rituale dotato di una struttura costante, come un periodo adatto a ogni tipo sia di attività festiva di carattere extra-religioso che di rimozione o di rovesciamento dei divieti e delle convenzioni sociali, all’insegna, in particolare, del comico e del grottesco. Per questa ragione, le numerose teorie sulle sue origini e sul suo più profondo significato appaiono, in buona parte, unilaterali, quando non forzate. Anche l’identificazione delle radici del Carnevale nelle feste dei Saturnali, celebrate nell’antico mondo romano nel mese di dicembre, e consistenti in un momentaneo rovesciamento dell’ordine sociale, non appare più interamente convincente; come pure le teorie che vedono nel Carnevale un’antica forma del culto dei morti, o di culti destinati a promuovere la fertilità dei campi. In termini per così dire provvisori, tenteremo di definire il Carnevale tradizionale come una festa in cui un gruppo di persone si presenta, con vari mezzi, tra cui soprattutto il mascheramento o una serie di comportamenti insoliti o trasgressivi, come essenzialmente “altro” rispetto al resto della comunità, e, come tale, incomprensibile, estraneo, inquietante, sconcertante, pauroso, oppure comico, grottesco, splendido. Questa contrapposizione, naturalmente, si realizza nelle forme stabilite dalla tradizione, e quindi ben note a tutti i membri della comunità: eppure sul piano psicologico essa torna a “funzionare” anno dopo anno, coinvolgendo profondamente attori e spettatori ed è resa particolarmente efficace dalla irriconoscibilità degli attori stessi, e dalla loro, spesso sorprendente, bravura nell’assumere ruoli strani.
Nelle forme strutturalmente più semplici dei Carnevali tradizionali, i personaggi mascherati si limitano ad andare, in gruppo o da soli, di casa in casa, presentandosi, spesso in modo aggressivo, pauroso e violento, al loro pubblico, costituito in particolare dalle donne. Va tenuto presente infatti che, in genere, nei Carnevali di tradizione le donne sono, in linea di massima, escluse dai mascheramenti così come lo sono i bambini.
Foto di carnevale degli anni 50.
Ma il Carnevale può assumere aspetti molto più complessi con un rituale estremamente elaborato, in cui i vari ruoli e i vari comportamenti si integrano strettamente l’uno all’altro secondo una sorta di “regia” impersonale ma efficiente, che, sul piano dello spettacolo, dà un senso all’intera cerimonia, rielaborando una serie di comportamenti che in sè sono probabilmente molto antichi, e che si ritrovano in pratica in tutta Europa.
In questo modo, i Carnevali tradizionali “mettono in scena”, in chiave più o meno simbolica, ogni sorta di situazioni e di rapporti sociali. Spesso le maschere si dividono in due categorie, per esempio “belli” e “brutti” : i belli, caratterizzati dal costume sfarzoso e dal comportamento compassato, sono anche i ricchi, mentre i brutti, che indossano costumi laceri e ripugnanti, portano maschere deformi ed hanno comportamenti irregolari e violenti, sono i poveri.
Molto significativi sono anche i Carnevali in cui viene rievocato un evento “storico” quale l’uccisione o l’espulsione di un nemico o di un oppressore. Si tratta in realtà della drammatizzazione di un evento mitico che rappresenta la conquista della libertà da parte della comunità. Gli ultimi carnevali che ricordo dove la comunità di Brisino ha partecipato credo a Lesa è stato fine anni 50 ed inizio anni 60 ( un carro dove si rappresentava un l’Expo ed un altro “lascia o raddoppia)
Sono cerimonie (affrontate dal gruppo sociale che le realizza con estrema serietà, pur se con spirito festoso), che presentano tratti molto arcaici, nonostante le modernizzazioni esteriori cui, nel corso del tempo, sono state sottoposte, come accade per la patina “napoleonica” del Carnevale di Ivrea, dove, per altro, nel corso della festa si svolge la violentissima “battaglia delle arance”: esempio molto caratteristico di quei combattimenti rituali presenti in molti Carnevali antichi che, un tempo, assumevano anche forme cruente. Ricordiamo questo fatto per far notare come una certa dose di violenza sia non soltanto ammessa ma prescritta nel comportamento carnevalesco.
Tutta una serie di rituali, di queste cerimonie, già ampiamente testimoniati in epoca medievale, trae origine dalla contrapposizione simbolica tra la licenza e la sfrenatezza del Carnevale e le astinenze prescritte dalla Quaresima. In questa prospettiva, il rapporto tra i due periodi viene teatralizzato, ed essi appaiono personificati (secondo un procedimento tipico della cultura tradizionale, che si applica anche ad altre festività: si pensi a Babbo Natale, o alla Befana), il primo come personaggio grasso e gioviale, la seconda come odiosa vecchiaccia, magra e lunga. Si sottolineano così i contrasti tra i due, che finiscono, inevitabilmente, con la morte di Carnevale.
A volte Carnevale viene caricato di tutte le colpe della comunità, e sottoposto a un burlesco processo, in cui vengono “messe in piazza” tutte le malefatte compiute da varie persone nel corso dell’anno. Questo rito rivela così una componente “politica”, che si esprime con una critica delle autorità in forma di satira; è quanto avviene, per esempio, nelle bosinate, componimenti in versi che venivano recitate sulle piazze in alcuni paesi dell’alessandrino, o, nei carri figurati che hanno reso celebre, tra gli altri, il Carnevale di Viareggio. Al termine del processo, Carnevale, sotto forma di un fantoccio viene “giustiziato” e bruciato. Talvolta muore di morte naturale o piuttosto, per gli stravizi, tra i pianti degli spettatori e della sua inconsolabile vedova, ancora una volta, la Quaresima, di solito, non senza aver fatto testamento, con lasciti, anche qui, satirici e beffardi, ai membri della comunità; o spesso, malgrado, o a causa, degli interventi chirurgici subiti da parte di un finto dottore. Alla morte segue un funerale in piena regola, con una parodia, spesso parecchio indecente, delle cerimonie religiose e dei suoi ministri.
Come è ovvio, una funzione essenziale è esercitata, nei Carnevali tradizionali, dalla maschera e dal mascheramento; e, anche se esistono dei Carnevali antichi e importanti in cui non ci sono maschere, pure il travestimento è sempre presente. La maschera, in quanto oggetto, può essere realizzata con diversi materiali: la persona può incollarsi sul volto delle piume o dei fagioli, coprirsi la faccia con un pezzo di pelle di animale con due fori per gli occhi e uno per la bocca, o ricorrere ad elaboratissime maschere scolpite in legno, spesso vere e proprie opere d’arte, con tratti eleganti e realistici o grotteschi o sinistri, anche grazie all’aggiunta di corna di animali. Ve ne sono tuttora in uso in Sardegna e in alcune zone delle Alpi (Vai d’Aosta, Lombardia, Trentino, Alto Adige, Friuli), anche se attualmente, quasi tutti, preferiscono ricorrere a quelle di plastica fatte in serie.
Accanto alle maschere di personaggi umani o demoniaci, compaiono interessanti travestimenti animaleschi: il cavallo, la capra, l’orso che vanamente trattenuto da un “domatore” si scaglia sulle persone del pubblico, terrorizzando le ragazze e i bambini. I mascheramenti di questo tipo sono probabilmente tra i più antichi: ne sono testimonianza le condanne fatte dai padri della Chiesa, fin dai primi secoli del Cristianesimo, quando venivano realizzati in occasione delle Calende di gennaio, all’inizio dell’anno.
Esistono poi, e sono di grande effetto comico, dei camuffamenti di tipo più complesso: come quello che rappresenta una donna che porta sulla schiena il marito dentro a una gerla. In realtà si tratta di una sola persona che sta nel gerlo sfondato e ha la parte inferiore del corpo nascosto dalla gonna della “donna”, che in realtà è un fantoccio!
Abbiamo, si diceva all’inizio, una rinascita del Carnevale. Quello che si era ridotto - a parte casi di continuità storica in manifestazioni dotate di una struttura tradizionale - a divertimento per i bambini più piccoli quasi costretti dai genitori a mascherarsi, è tornato a interessare ragazzi, adulti, e anche responsabili di assessorati alla cultura di comuni e di altri enti pubblici, disposti a investire somme cospicue nell’organizzazione del Carnevale, promuovendo anche importanti iniziative culturali turali nella stessa direzione. Inutile chiedersi, in un certo senso, se sia stato l’interesse della gente per questa festa a mettere in moto l’intervento delle autorità, o viceversa. Resta il fatto che il Carnevale di Venezia, o quello di Milano, hanno continuato a suscitare interesse con partecipazione attiva, e non di semplici spettatori ma di un numero grandissimo e forse crescente, di persone anche quando l’intervento finanziario e organizzativo dell’ente pubblico si è ridotto quasi a nulla, come è avvenuto a Milano.
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Questi Carnevali risorti sono caratterizzati soprattutto dai mascheramenti che spesso riprendono, cosa abbastanza singolare, forme di travestimento particolarmente arcaiche, dalla quasi assoluta scomparsa dei comportamenti violenti e aggressivi (lancio di farina, di uova, di creme da barba spray) da parte di Dande” di ragazzi nei centri urbani, e arche di ogni forma di satira sociale o politica. E interessante notare, a questo proposito, come alcuni comportamenti tipicamente “carnevaleschi” di satira e di protesta si siano, ormai da tempo, trasferiti nell’ambito di altre manifestazioni di massa, come per esempio lo sciopero, dove il frastuono dei campanacci, il funerale burlesco di un pupazzo, tipici elementi delle manifestazioni operaie, rappresentano l’utilizzo di un linguaggio espressivo tradizionale per esprimere esigenze nuove
Il periodo della Quaresima era caratterizzato, anche a Brisino, da una spiritualità più accentuata, ed anche da una certa astinenza in senso lato, dopo i "bagordi" del Carnevale ( si fa per dire, anche perché erono anni che la gente emigrava e non c’era una lira in tasca).
Dalla Festa della Domenica delle Palme, caratterizzata da palme intrecciate e tanti fasci di rami d'ulivo benedetto, offerti in segno di pace e riconciliazione, si entrava subito nel clima della Passione di Nostro Signore. In chiesa era già visibile il gran telo viola, sovrastante l'altare, che copriva tutte le immagini sacre; inoltre, altri veli color viola, erano posti su croci e immagini sacre non ubicati sull'altare Il predicatore di turno tradizionalmente un fra Passionisti, oppure Francescani, (In occasione della processione del Venerdì Santo erano scoperte le sole statue del Cristo Morto e della Madonna Addolorata), con le funzioni della Settimana Santa iniziava le sue omelie serali su Morale e Fede. Con il Giovedì Santo tutte le campane venivano "Legate' in segno di lutto, e al loro posto entravano in funzione i rumorosi "tricche-tracche o tip e tap o girel, o tamburel ecc. ", attrezzi di legno munití di barette mobili in ferro, oppure di martelli mobili in legno che si battevano su un asse ecc, che i ragazzini scuotevano can vigore per le strade del paese, annunciando la Messa, il Mezzogiorno e le Funzioni della sera. Il Giovedì Santo era caratterizzato anche dalla 'Visita ai Sepolcri". Oggi sono sparite le cappelle ce n’era una davanti casa nostra che rappresentava l’insieme della liturgia, progresso ed incoscienza le hanno distrutte.
Per celebrare i giorni della Passione di Cristo, in tutto il mondo si organizzano rappresentazioni sacre, una sorta di teatro in costume che spesso coinvolge interi paesi. A Brisino queste costumanze e consuetudini non hanno raggiunto grande spettacolarità, tuttavia vi sono degli aspetti caratteristici di lontana tradizione: ci riferiamo al cosiddetto cantare la Passione". L'usanza però venne pian piano ad esaurirsi, per scomparire alla fine degli anni '20.
Da tempo immemorabile, la processione del Venerdì Santo offre il consueto spettacolo emozionante di un rito molto sentito e commovente che, a Brisino, manifestava anche talune caratteristiche peculiari. Si dice…Per prima cosa, tra i cittadini aspiranti a portare la grande croce, veniva effettuata una specie di gara in cui l'offerta maggiore determinava l'assegnazione e ruolo di Cristo: un ruolo molto ambito, non solo per devozione o per penitenza, ma anche perchè c’era la credenza che fosse di buon auspicio per la realizzazione di progetti personali (“grazie” di vario genere). Portare le “stanghe” della statua del Cristo Morto era ritenuto benaugurante in special modo quelle davanti, erano solitamente riservate alle ragazze che ambivano maritarsi.
La processione, ancora oggi, si svolge intorno al paese, negli ultimi anni fanno solo il giro della chiesa: la Processione si snodava su un percorso lungo, che attraversava i vari quartieri del Paese, ed arrivava ai confini dei due paesi vicini (Vedasco e Magognino) con gli innumerevoli ceri portati in lunghe file. Durante questo itinerario, il compaesano che porta la croce tradizionalmente eseguiva da un minino di 3 cadute, ad un massimo di 14 (una per stazione), ad interpretazione personale. Notizie raccolte nel lontano 1948 da un vecchio amico del paese che si chiamava Tunin, devo a lui ed mio madre questa mia curiosità per le feste e per le tradizioni e da ragazzo parlavamo in Tarùsc.
Curiosità. La Via Crucis. La nascita della Via Crucis è legata alla conquista dei Luoghi Santi da Parte dei Turchi (XI-XII-XII secolo) L’impossibilità di compiere il pellegrinaggio alla via dolorosa di Gerusalemme dove sarebbe passato Gesù portando la croce, induce in qualche modo a costruire dei percorsi sostitutivi nelle chiese. Questa devozione si diffuse sempre più fra i cristiani finchè, nel 1731 (dopo le Predicazioni di S. Leonardo di Porto-Maurizio) il papa Clemente XII permise l’erezione della Via Crucis unendo tutte le chiese, definendo e fissando in 14 il numero delle stazioni, che fino ad allora variavano secondo le tradizioni locali. Ora, alcuni libri devozionali includono una 15° stazione: quella della Resurrezione. Questo rito, in chiesa, si percorre in senso antiorario” in quanto era tradizione iniziare dal “Lato Epistola” (a sinistra guardando l’altare) per finire dal “Lato Vangelo” (che rappresenta la Resurrezione). Oggigiorno con la Riforma liturgica del Concilio vaticano II, c’è un solo Pulpito (detto “Arnbone’”, dove tutta la Parola di Dio (sia epistola sia vangelo) è proclamata dal popolo.
Negli anni 50, 60 e 70, in sostituzione della benedizione degli animali domestici effettuata tradizionalmente nella festività di S.Antonio abate, fu istituita la Benedizione delle stalle in concomitanza con la benedizione delle case. Un tempo si soleva ricompensare il parroco con i prodotti della terra.
La festività dell’Ascensione cade nella prima domenica 40 giorni dopo Pasqua. Nell’occasione, dietro la statua del Cristo Risorto, erano portate in processione tutte le statue dei santi venerati, la tradizione viene interrotta all’inizio dell’900. Questa pratica ancora oggi è mantenuta in tutto il sudamerica. Il corteo era incorniciato da uno spettacolare scenario caratterizzato da balconi, finestre, cancelli ornati con coperte e coltri variopinte, della migliore qualità. L’onore di portare i Santi in processione era veramente desiderato e, a volte era vivamente ambito a tal punto da dar luogo a contese.
Al passaggio del corteo, le statue dei Santi erano abbondantemente cosparse da una pioggia di petali di fori preparati in cesti di salice, in prevalenza rose, ginestre e sambuco. Talune credenze vorrebbero che il giorno dell’Ascensione siano colti i fiori, ma non le verdure, che sarebbero infettate da vermi. Per la festività del Corpus Domini si ripeteva il suggestivo scenario descritto per l’Ascensione. In questa occasione, però, i balconi parati con migliori drappi, assumevano una rilevanza più marcata in quanto vi era anche la credenza che le stoffe benedette dal passaggio del Santissimo, non tarlavano mai. (1195-1231), uno dei primi discepoli di S. Francesco, dottore della Chiesa e da essa santificato l'anno stesso che seguì la sua morte, tanta era la sua popolarità. Grande oratore, ebbe enorme successo neIla sua predicazione, tanto che lo stesso S. Francesco lo incaricò, unica eccezione, di insegnare teologia ai suoi confratelli all'Università di Bologna. Viene considerato il protettore degli animali inferiori. Nato a Lisbona, mori nel convento di Arcella, un sobborgo di Padova la sua festa ricorre il 13 giugno. Mi di spiace che questo santo sia stato messo in soffitta era molto considerato ed in qualche casa di Brisino si può ritrovare il tipico altarino, ma, per secoli, i contadini hanno praticato questo rito con incrollabile fervore. Era in gioco il futuro raccolto. La stessa pratica viene svota dai contadini indiani.
Una tradizione quasi persa perché e stata sostituita con il 15 Agosto , festa della Madonna, (La chiesa di Brisino viene costruita, vedi documento C verso la fine del 700 e dedicata alla SS. Trinità). Era normalmente il periodo che precedeva il lavoro intenso dei campi ed era un momento di incontro della comunità, una lunga processione con l’Ostensorio chiudeva la festa religiosa a beneficio della festa paesana, canti balli e la degustazione di cibi.
Curiosità. Dal 1334, la domenica che precede la Pentecoste è consacrata alla Trinità. La SS.Trinità, dogma fondamentale del cristianesimo cattolico, ortodosso e di una parte assai vasta delle confessioni protestanti, secondo il quale nella divinità esistono tre persone distinte (Padre, Figlio e Spirito Santo), che formano una sola sostanza indivisibile e sono eguali in potenza e in gloria: il figlio è generato eternamente dal padre e lo spirito, secondo la teologia cattolica, respinta da quella ortodossa, procede dalle altre due persone, come da un principio unico. Si trova qui riflesso il concetto della triade familiare, propria di molte religioni; ma al dogma trinitario il cristianesimo è arrivato attraverso una lunga elaborazione, che ha occupato i primi quattro-cinque secoli della storia ecclesiastica, rivolta a conciliare il carattere divino del Cristo, con il monoteismo originario della religione biblica. Le prime affermazioni della Trinità si incontrano in Tertulliano, alla fine del II secolo; per tutto il III secolo i teologi appaiono ancora incerti e preoccupati di sfuggire all'accusa di diteisino (la funzione della terza persona, lo spirito, è solo accessoria e di origine ellenistico misterica. Al Concilio di Nicea, nel 325, si ha la prima formulazione precisa, in contrasto con la posizione dei vescovi che consideravano il Figlio come una semplice creatura, anche se superiore a tutte le altre (di qui il grande scisma provocato d’ Ario), espressione dialettica della volontà creativa della divinità e strumento dell'opera di redenzione. I rapporti interni tra le due «nature» del Figlio e tra le «persone» viste nel loro insieme vennero fissati nei concili posteriori, sino alla fine del V secolo. E’ certo, tuttavia, che le prime comunità cristiane tendevano a concepire la trinità come una «triade» tradizionale: padre, figlio e madre, anche perché il termine semitico per indicare lo «spirito» è di genere femminile. In alcuni testi recentemente scoperti in lingua copta nelle sabbie egiziani a Khenoboskion, la trinità appare precisamente sotto questo aspetto, senza dubbio antichissimo. Il Credo che uscì dal Concilio di Nicea, sotto l'ispirazione del vescovo Atanasio, il grande avversario di Ario, semplifica notevolmente la dottrina trinitaria, che nei tempi nostri non è più accettata da alcune Chiese protestanti (per esempio, la Chiesa “unitaria” assai influente negli Stati Uniti). A. Donini Enciclopedia delle religioni pag. 425.
Mi ha sempre affascinato questo santo infilzato da tante frecce, credo che il quadro sia li solo per l’effetto di una donazione in realtà il paese da 200 anni non se ne cura più. Leggendario tribuno delle guardie pretoriane ; convertitosi al cristianesimo , fu ucciso a colpi di frecce, nel 304, durante la persecuzione di Diocleziano e successivamente santificato. Numerosi sono i capolavori di pittura che si ispirono al suo martirio. Sulla via apia a Roma a poca distanza dal cimiteri di Calisto, si trovano le catacombe intitolate a San Sebastiano.
Una festa di famiglia Pietro mio padre, Paolo mio nonno e mio fratello, il periodo che in campagna si tagliava il primo fieno, si festeggiava sui campi. Le ragazze da marito, invece, per individuare il mestiere del futuro sposo e quindi ipotizzare la sua posizione sociale, introducevano un albume di uovo dentro una bottiglia con acqua, lasciando il tutto l'intera notte (tra il 23 e il 24) Dai ghirigori o dalle "figure" che si formavano nell’acqua, venivano tratte le interpretazioni relative al mestiere e al livello sociale che il futuro riservava. I Santi venivono festeggiati lavorando nei campi, dopo il lavoro normalmente se non si eravamo troppo stanchi, si andava tutti a Graglia alla festa di s. Pietro e Paolo.
15 Agosto - Maria Ausiliatrice. Assunzione di Maria vergine. La chiesa di Brisino e dedicata alla SS Trinità ed alla Madonna.
Negli anni che mi ricordo, il paese era adornato di fiori. Fiori ovunque le donne facevano a gare mentre gli uomini in gruppi si riunivano nella propria zona , costruivano degli archi ( delle vere porti, enormi) in legno rivestiti di felci ed ornate di luci. Era una gara tra i tre cantoni. Canton in sciuma, canton in mez e canton in fund. Suggestivi ed intensi apparivano all’imbrunire, sembrava si essere in un castello recintato da mura di legno e di felci. In questa giornata si esprimeva tutta l’intensità della festa e della gioia. Ritornavano gli emigranti, i parenti, si intrecciavano nuovi rapporti, si annunciavano nuovi matrimoni ecc. Si iniziava al mattino con le varie messe, talvolta con banda musicale , alla messa cantata dopo la processione si faceva “l’incanto” sui prodotti della terra o elaborate dalle massaie, per finanziare il magro bilancio della chiesa. A distanza di anni me lo ricordo con piacere, ad un occhio attento in quell’occasione si riusciva conoscere i vari schieramenti politici, le nuove alleanze oppure la nascita di nuovi nemici. La Madonna veniva portata in processione nel pomeriggio ed a conclusione della festa religiosa tra fuochi d’artificio e la tradizionale “Sagra della polente e Salamit” si chiudeva la giornata tra canti e balli. In quei giorni si concludevano le vacanze di molti villeggianti, soprattutto nel primo dopo guerra il paese era preso d’assalto dai legnanesi e dai milanesi che venivono ospitati nelle case dei Brisinesi. Possiamo dire che il vergante è stato il precursore di un turismo alternativo. Peccato che il benessere abbia cancellato la solidarietà che era nata subito dopo la seconda guerra mondiale. ( devo avere delle fotografie prossimamente le inserirò nel testo). Nel pomeriggio o al mattino a secondo la durata della manifestazioni, partiva la corsa in bicicletta, il torneo di calcio e all’imbrunire, si rompevano le pignatte, si correva nel sacco, si scalava l’albero della cuccagna. Per la cucina locale, in quei giorni, appena dopo la seconda guerra si mangiava il risotto in tutte le maniere e la carne che non fosse da animali da cortile. Il 16 Agosto processione a S. Albino la vecchia chiesa di Brisino e Magognino oggi cimitero del paese. Tradizionale processione al cimitero di S.Albino, ( per ricordare i propri morti), non mi ricordo perché so solo che c’era sempre molta gente, . La chiesa risale alla fine del primo millennio, all’interno pregevoli affreschi del 1100 /1200.
Curiosità. La Madonna , o “mia donna” (dove – donna - e intesa nel senso latino di domina, cioè padrona), appellativo medievale della Vergine Maria, rimasto poi nell'uso comune e applicato particolarmente alle immagini che la raffigurano con il bambino Gesù in braccio, secondo l'iconografia introdotta nella storia delle religioni dai misteri di Iside. Si presenta con gli attributi più svariati: delle grazie, del buon consiglio, del rosario, dei sette dolori, della immacolata, dei fiori. La Madonna grande è madre - pellegrine - ha trovato in Italia uno sviluppo eccezionale, subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, nella atmosfera arroventata della campagna condotta dalla Chiesa e dalla Democrazia Cristiana contro i partiti della classe operaia, comunista e socialista. Statue della Madonna incominciarono ad essere portate in processione attraverso città e villaggi, sin dalla seconda metà del 1946, alimentando scene di un fanatismo di massa senza precedenti; a partire dal 12 febbraio 1948, alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile, centinaia di immagini della Madonna furono viste muovere la testa, respirare, piangere, sanguinare, un po' per tutta la penisola (da Assisi a Cagliari, Frascati, Nocera, Pisa, Catania, Messina, Grosseto, Caserta, Putignano e così via). Dopo il 18 aprile 1948, questi episodi divennero sempre più rari. Maria, in ebraico Miryàm, trascritto in greco Mariám o Maria, mitica madre di Gesù; per i cattolici anche “Vergine Maria” e “Madonna" pochissimo dicono di lei i vangeli canonici: in quello attribuito a Matteo si afferma che il marito di Maria, Giuseppe, non avrebbe avuto rapporti con lei sin dopo la nascita miracolosa del primo figlio Gesù (i nomi di quattro fratelli e due sorelle del Cristo ) sono ricordati in due passi del Nuovo Testamento. I vangeli apocrifi aggiungono che era figlia di Anna e di Gioacchino, discendente di Davide e della tribù di Giuda; e danno molti altri dettagli, elaborati poi dalla tradizione(specialmente nel Proto vangelo di Giacomo, del II-III secolo). Secondo alcune tradizioni, sarebbe morta ad Efeso, in tarda età; secondo altre a Gerusalemme, e sepolta ai piedi del Monte degli Ulivi. Tre giorni dopo, gli apostoli avrebbero trovato il sepolcro vuoto, così come per il Cristo. Su questa leggenda è basato il dogma dell'Assunta proclamato nel 1950 da Pio XII; secondo un altro dogma, detto dell'Immacolata Concezione e promulgato da Pio IX nel 1854, Maria sarebbe stata concepita senza il peccato originale, che è causa della morte, e quindi non poteva morire corporalmente. in generale, la sua figura nel Nuovo Testamento è posta in secondo piano e si mette in rilievo l'indifferenza del Cristo pei suoi riguardi, forse anche per un residuo di ideologie antifemminili; nel Vangelo apocrifo di Tommaso, scoperto recentemente, si fa dire a Gesù, Maria che “per entrare nel regno DI Dio, Maria dovrà diventare uomo”. Nel cristianesimo antico venne talvolta identificata con la terza persona della Trinità (la parola “Spirito” del resto, in ebraico è dì genere femminile. La Chiesa e la devozione dei fedeli hanno sviluppato una complicata teologia sulla sua persona, definita non senza difficoltà, al Concilio di Efeso, “madre di Dio”, in opposizione all'eresia nestoriana, che la voleva soltanto “madre di Gesù”. Il culto mariano costituisce oggi una base essenziale della liturgia e dell'ideologia cattolica.
. Anche se non era presente nella liturgia della parrocchia gli agricoltori ne tenevano in buon conto. L’11 novembre, è ancora diffusa l'usanza di onorare per la prima volta il vino nuovo, spillandolo dalle botti. Normalmente il trasloco di una casa era fatto per San Martino, tanto che si dice ad uno che cambia casa “ stai facendo San Martino”.
Curiosità. San Martino, nato in Ungheria nel IV secolo da un tribuno romano, giovanissimo si arruolò nell'esercito imperiale. Abbracciò il Cristianesimo e, nella Gallia (a Ligugé), fondò il primo monastero di tutto l'Occidente, ultimato nel 397. Venne fatto vescovo di Tours e svolse una capillare opera di apostolato tra pastori e contadini, operando diversi miracoli. Celebre l'episodio di quando divise il suo mantello con un povero infreddolito; poi diede la restante metà ad un'altro malconcio poveretto. Rimasto senza adeguata copertura contro il gelo, fu riscaldato da un sole insolitamente mite: da qui la leggenda dell'Estate di S. Martino. S. Martino (La ricorrenza l'11 novembre, ), è patrono abbondanza in genere e protettore del vino in partico questo perchè il Santo, inseguito dagli sbirri, si nascose in una botte vuota. Quando lo cercarono in cantina fu un evento prodigioso: tutte le botti risultarono piene, e S. Martino se la cavò. E' ancora diffusa l'usanza di onorare per la prima volta il vino nuovo, spillandolo dalle botti. Il cosiddetto vino novello sostituisce l’usanza di San Martino.
Per quanto riguarda le tradizioni popolari sarebbe auspicabile che venga svolto un lavoro sistematico e scientifico dello studio e del recupero di antiche abitudini. La più significativa di queste sopravvivenze, “La festa di Samain “, Samonios - cadeva il 1° Novembre e rappresentava il Capodanno Celtico e/o Leponzio, che a loro volta la preso da chi. Nella notte del primo novembre per questi nostri antenati ?, il mondo dei morti entrava in contatto, si congiungeva conquello dei vivi. La festa fu reintrodotta, dato il suo persistere fra le popolazioni rurali, nel VI sec. d.c. dalla Chiesa cattolica come “festum ad ommes sanctos” festa di Ognissanti e con susseguente ricorrenza dei defunti. Ancora oggi, si usa accendere una candela nella notte tra il 1° e 2° novembre. Questo non solo per la memoria, anche perché i nostri morti, tornando la notte a riveder la casa , la trovano illuminata. E’ usanza lasciare del cibo sulla tavola (pane, acqua, vino e castagne cotte) in modi che i defunti all’occorrenza potessero farne uso. Il rapporto con la morte per i nostri antenati era sereno, quasi scanzonato. La parte allegra dell’antica Samain si è mantenuta in Halloween, la festa che nei paesi nord europei (irlandesi ed anglosassoni introdotta poi in Nord America ed oggi in tutto il mondo occidentale) precede Ognissanti. Il segno più popolare, noto e diffuso in questa notte è la zucca svuotata, intagliata e contenente una candela accesa. Si tratta della raffigurazione di un teschio e rappresenta una ridicolizzazione e demistificazione della morte l’usanza durò fino agli anni 50’.
Si dice che la testa tagliata aveva una grande funzione rituale e simbolica presso i popoli nordici che conservavano i capi recisi degli avversari più valorosi e delle persone più importanti ritenendo che la testa fosse la vera sede dell’anima e che così facendo si potesse trattenere presso di se od appropriarsi delle caratteristiche migliori del morto.
Non è che questo ci rende migliori nella ricerca di nobili antenati.
Curiosità. Il Lutto, un comportamento di carattere rituale, che oggi ha un valore prevalentemente sociale e sentimentale, connesso però, nelle società primitive o di tipo arcaico, con il concetto religioso del tabù. Si ritiene, cioè, che i legami con il morto comportino di per sé uno stato d'impurità: di qui il particolare modo di vestirsi e di acconciarsi i capelli, l'astinenza più o meno prolungata da determinati cibi e dalle relazioni sessuali, l'uso del velo per non farsi riconoscere dal defunto e in qualche caso anche il cambiamento di domicilio, per disorientare lo spirito dei trapassati. Si tratta quasi sempre di usanze di carattere apotropaico, dalle quali si può uscire soltanto attraverso particolari riti di purificazione. I colori del lutto variano di civiltà in civiltà: nero nell'ambito del cristianesimo, bianco presso i buddisti, rosso talora presso popolazioni a livello etnologico, in Africa e nell'Oceania. Mi ero sempre domandato la motivazione del nero e devo dire che la risposta in paese fu sempre nero perché nero….
Indubbiamente, con la concezione si entra in pieno clima natalizio La sera della vigilia, un tempo, era caratterizzata tradizionalmente dai grandi e suggestivi falò accesi in varie zone del paese: Il fuoco purificatore rappresenta il Cristo, quale simbolo di luce nelle tenebre (della lunga notte invernale). Alla fine dei fuochi, ogni famiglia del quartiere riempiva un braciere e lo portava nella propria abitazione: ciò era considerato di buon auspicio. Spesso era l'occasione per la prima tombolata. (questa tradizione finì con la prima guerra mondiale).
, dal latino (dies) natalis (solis), «giorno della nascita del dio Sole», festa celebrata con grande solennità il 25 dicembre, in coincidenza con il solstizio d'inverno, in tutte le regioni dell'impero romano. Il trasferimento di tale data alla nascita di Gesù a Betlemme ha avuto luogo soltanto più tardi, in ogni caso non prima dei IV secolo (335-36 d.C.); altri giorni erano stati suggeriti precedentemente dai padri della Chiesa, tra i quali il 6 gennaio, il 28 marzo, il 2 e 19 aprile, il 29 maggio e il 18 novembre. Sin dai tempi antichissimi, e nei paesi più diversi, la data del 25 dicembre cioè il momento in cui il sole sembra iniziare il suo viaggio di ritorno, con il prolungamento delle ore di luce del giorno - era stata associata alla celebrazione liturgica del disco solare e alla leggenda di un parto miracoloso della Vergine celeste, regina del mondo, e della nascita del suo divino infante. Secondo i greci, il salvatore Dioniso era nato da una vergine il 25 dicembre; lo stesso per il dio egiziano Osifide e per suo figlio Oro, concepito il 25 dicembre. Un'identica data ricorre per la nascita verginale del Budda; anche i natali di Freir, figlio di Odino e di Frigga, venivano celebrati nei paesi scandinavi in corrispondenza con il solstizio d'inverno. Del resto, quasi tutte le usanze tradizionali che si riferiscono al Natale cristiano hanno origine pagana. Il periodo festivo che va dal 21 dicembre alla fine dell'anno vedeva svolgersi a Roma i Saturnali; mirto, lauio, edera e altre piante sempreverdi erano il simbolo dell'eterna giovinezza di Dioniso; il vischio veniva adoperato dai sacerdoti celti della Gallia e l'albero di Natale discende direttamentete dalle consuetudini dei culti solari celebrati nelle foreste nordiche. Il presepio, invece, venne istituito per la prima volta da san Francesco, nello sforzo di riportare la pietà popolare alle tradizioni del primitivo cristiano. La vigilia di Natale, durante la classica cena, una usanza tradizionalmente molto seguita era quella di "dar da mangiare al fuoco" del camino che, nell'occasione, era costituito da un ceppo di dimensioni particolarmente massicce (‘sciuch), in modo che potesse durare per l'intero periodo natalizio. Era buona norma che fosse il Capofamiglia ad eseguire tutte le operazioni. Questo rito aveva il significato di offrire al Bambin Gesù le primizie di ogni pietanza che, andando in fumo, lo avrebbero raggiunto e nutrito. In questo modo il Bambinello partecipava alla cena familiare, santificandola. L'usanza di dare da mangiare al fuoco si perde nella notte dei tempi in quanto col rito dell'offerta, si cercava di ingraziarsi il fuoco stesso, fonte di luce e di calore. Un'altra credenza voleva che in quella Notte Santa anche gli animali potessero parlare senza poter essere uditi, però, da nessun essere umano. Gli animali, sagge creature, si interrogavano sul dolore e sulla morte: Gesù con la sua nascita viene a dare una risposta proprio a queste domande esistenziali.
Tradizionalmente costituita dai seguenti piatti-base: ravioli, di carne, ricotta e spinaci, di zucca o raviolini in brodo , stocco al sugo; baccalà fritto o lessato; bolliti misti con salsa verde, cappone con le varie mostarde di frutta, fagioli al fiasco pane di granturco; rape, verze e cavolfiore. Infine, dolci con marmellata di uva e fichi. Altre pietanze considerate benauguranti, erano facoltative alla Vigilia di Natale in quanto la tradizione li indicava più per il cenone di Capodanno: le lenticchie (simboleggianti le monete), zampone di maiale (l'abbondanza), e l'uva quattrini per tutto l’ anno. Al pranzo di Natale, naturalmente, non poteva mancare il brodo col cappone.
Stesura incompleta
1a correzione maggio 2010.
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