sabato 26 marzo 2011

14 FAVOLE E FILASTROCCHE DELLE NONNE

XIV Capitolo.
Favole e filastrocche delle nonne.
Le favole erano per lo più imperniate sulle piante, sui vegetali e sugli animali. I vegetali vivono sulla Terra da 3-4 miliardi di anni, hanno di fatto aiutato l’uomo crescere e modificarsi. Chi li ha contati dice che oggi se ne conoscono 350.000 specie, alcune grandissime, altre piccolissime, ma tutte utili. Che faremmo senza vegetali? ( e così iniziava la favola c’era una volta ecc.), Non ci ciberemmo di pane né di frutta, verdura, dolci, cioccolato; non berremmo né vino né caffè. Senza erba e piante non esisterebbero neppure gli animali che di vegetali si nutrono, e tutti gli altri che di loro si cibano. Quindi non ci sarebbero carne, uova, latte. E andremmo in giro nudi perché mancherebbe la lana ma anche il cotone, la canapa, il lino, cioè le fibre vegetali. Avete mai pensato che la fine dei vegetali vorrebbe anche dire la fine della vita? Pensateci, e d'ora in poi dimostrate loro un profondo rispetto e un grande amore. Nelle favole e nei racconti delle nostre nonne ai nipotini, venivono incentrate sulle piante e sui vegetali, (fino alla fine degli anni 50 i bambini oltre alla cicogna nascevano per lo più sotto i cavoli, ve lo ricordate…) solo recentemente all’inizio del secolo scorso comparvero anche gli animali (Lupo, Orco ecc.). Oggi, con l’avvento della televisione si è persa l’abitudine, si preferisce delegare ad altri la fantasia dei nostri figli.
Di seguito alcune favole e filastrocche che normalmente seguivano le stagioni. Incominciavano sempre per c’era una volta e finivano con grandi sbadigli dei nipotini e della nonna acanto al camino o un braciere nella camera da letto.

a Abete. L’albero che rallegra i bambini, mette allegria ed è sinonimo d pace e di i doni. Natale.
Acero.
Albicocco. Estate, in pieno lavoro nei campi, l’albicocca diventava un premio per i bambini.
Alloro.
Asfodelo.

b Betulla.
Bocca Di Leone.
Bambù , è una pianta davvero curiosa: pensate che può restare senza fiorire per molti anni, ma davvero molti, da trenta fino a cento, poi, improvvisamente, fioriscono tutti insieme in tutte le parti del mondo. Perché? I botanici non lo sanno ancora Bambù.

Cera una volta...
Tanti anni fa, in un magnifico giardino, cresceva un bambù di nobile aspetto.
La padrona del giardino, una saggia contadina, lo amava più di tutti gli altri alberi. Anno dopo anno, il bambù cresceva e si faceva robusto e bello, perché sapeva che la saggia contadina lo amava e ne era felice.
Un giorno la saggia contadina si avvicinò al suo amato albero e gli disse: "Caro bambù, ho bisogno di te".
Il magnifico albero sentì che era venuto il momento per cui era stato creato e disse con gioia: "Eccomi sono pronto! Sono ben felice che sia venuto il mio momento, fa di me l'uso che vuoi".
La voce della saggia contadina divenne grave: "Per usarti devo abbatterti".
Il bambù si spaventò: "Abbattermi? Io... io il più bello degli alberi del tuo giardino! No, no, per favore, usami per la tua gioia: ma, per favore, non abbattermi".
"Mio caro bambù, tu sei l'albero più bello del mio giardino, ma se non posso abbatterti, non posso usarti".
A quelle parole il giardino piombò in un profondo silenzio. Anche il vento smise di soffiare.
Lentamente il bambù chinò la sua magnifica chioma e sussurrò: "Se non puoi usarmi senza abbattermi, abbattimi".
E la contadina continuò: "Mio caro bambù, sparirai, perché non solo devo abbatterti, ma anche tagliarti i rami".
Il bambù era rimasto senza voce e allora semplicemente, chinò il capo, come per dire: "Sì".
La saggia contadina abbatté il bambù, tagliò i rami, le foglie, lo spaccò in due, gli estirpò il cuore, ossia gli tolse la parte interna. Poi lo portò dove sgorgava una fonte di acqua fresca vicino ai suoi campi che soffrivano per la siccità, collegò delicatamente alla sorgente un'estremità dell'amato bambù e diresse l'altra verso i campi aridi. La chiara fresca, dolce acqua prese a scorrere nel corpo del bambù e raggiunse i campi.
Fu piantato il riso e il raccolto fu ottimo. Così il bambù divenne una grande benedizione.
Era già la pianta più bella che la saggia contadina avesse avuto nel suo giardino, ma ora era diventata la più importante: era stata trasformata per la culla dell'acqua, una canalina che portava la vita a tutte le altre piante del suo giardino. Quando era un albero stupendo viveva solo per se stesso e si compiaceva della propria bellezza. Ora che viveva per gli altri scoprì che era molto, molto più felice.

c Cacao.
Gaffe.
Camelia.
Carrubo
Corbezzolo.

d Dattero. Quando si parlava di dattero era Natale. Un frutto che faceva sognare e normalmente le nonne facevano sognare con il racconto di grandi viaggi.

e Edera.

f Faggio. Nel racconto c’era sempre un fantasmino,
Felci.
Fico. L’albero di Giuda.
Fragola
Frassino.
Frumento.

g La storia di gelsomino (a). C’era una volta una giovane beduina di nome jasmina. Era molto bella, e si copriva di veli per proteggersi dai raggi del sole. Un giorno giunse un principe ricco e bello e la chiese in sposa, il padre acconsentì e jasmina parti per raggiungere l'harem. Man mano che la carovana s'allontanava dal deserto jasmina capiva che non avrebbe mai potuto vivere tra le mura di un castello. Allora chiese al sole di aiutarla a fuggire e, pregandolo, si scoprì per la prima volta il viso. L'astro, stupito di tanta bellezza, l'aiutò trasformando jasmina in un candido fiore che ora vive libero sotto il sole e si chiama "gelsomino". N.d.r. profumo d'oriente l'essenza del gelsomino è uno degli elisir più preziosi. Il suo profumo è inebriante. Il Jasminum officínalí e il jasmínum grandíflorum sono le specie da cui si ricava l'essenza. Le donne e le ragazze arabe amano portare orecchini e collane fatti con mazzetti di gelsomino. Dobbiamo al navigatore Vasco De Gama e ai portoghesi la diffusione dei gelsomini nei giardini d'Europa. Le prime piante giunsero dall'india. Tutti i gelsomini sono circa odorosi e tutti hanno bisogno di sole, acqua e calore e cure.).

Genziana.
Giglio.
Girasole.
Glicine.
Ghiandaia - Molto tempo fa la Ghiandaia aveva una moglie, ma dopo un po’ andò da Dio, per chiedergli in moglie la figlia. Dio rispose:
- Giacché la chiedi, non devi portarla sulla terra, deve restare qui in cielo. Perché, se la porti sulla terra, lei non può mangiare carne di zebra né di gnu né di kudu; animali grandi non può mangiarne. Se vuoi portarla sulla terra, falle mangiare soltanto animali piccoli.
La Ghiandaia rispose:
- Va bene.
Così la Ghiandaia ebbe il permesso di portare sulla terra la figlia di Dio. Appena arrivato sulla terra, informò di queste cose la moglie terrestre, dicendole:
- Dio mi ha detto che sua figlia non può mangiare carne di zebra né di gnu, né di kudu; non può mangiare nessun animale grande.
Disse la stessa cosa a sua madre che rispose:
- Va bene.
Ma la prima moglie era terribilmente gelosa. Un giorno Ghiandaia andò a caccia, uccise una zebra ed un giovane duiker. Quando lo portò alla prima moglie le disse:
- Bada bene di non dare a mia moglie la carne di zebra. Falle mangiare soltanto la carne del giovane duiker.
La prima moglie rispose che avrebbe fatto attenzione. Un giorno mentre Ghiandaia era fuori, la prima moglie disse alla figlia di Dio:
- Mangia, è il giovane duiker.
Non era vero era carne di zebra, infatti come la figlia l’ebbe mangiata morì. Al ritorno Ghiandaia chiese:
- Mia moglie di cosa è morta?
La prima moglie rispose di non saperne nulla. Dio però l’aveva vista e sapeva che era stata lei ad uccidere la figlia. Ghiandaia si recò in cielo per dare la notizia a Dio.
- Mia moglie è morta.
Dio rispose:
- Hai dimenticato gli ordini che ti avevo dato, che mia figlia non doveva mangiare carne di animali grandi? Ma laggiù sulla terra gliene hanno data. Lei l’ ha mangiata ed è morta.
Ghiandaia rispose:
- Può darsi che sia così.
Dio gli disse di tornare sulla terra. Quando passarono tenta giorni, Dio radunò una piccola nuvola. Poi spalancò la bocca e tuonò. Dopo scese e forzò la tomba dove era seppellita sua figlia, la tirò fuori e la portò in cielo insieme a Ghiandaia. Quando fu a metà strada scagliò Ghiandaia giù sulla terra, ma lui non arrivò mai, soltanto un mucchietto d’ossa arrivarono sulla terra. Ghiandaia morì a metà strada. Ancora oggi Ghiandaia quando vola, si lancia verso l’alto con un forte grido; quando fa per scendere muore.
h

i Incenso.
Ippocastano
Iris.

k (k) Cachi

l Lampone.
Larice.
Lavanda.
Lenticchia.
Limone.
Lino.
Liquirizia.


m Maggiociondolo.
Magnolia.
Mais
Melograno.
Mimosa.
Mirtillo.
Mughetto.

n Narciso.
Nespolo..
Noce.
Non ti scordar di me.

o Olmo.
Ortica.
Orzo

p Papavero.
Patata.
Pinguicola.
Pomodoro.
Posedonia
q

r Ricino
Riso
Rododendro.
Rosa
Rosmarino

s Salice
Sambuco.
Segale
Stella Alpina

t Tabacco - L’isola del tabacco. Un uomo aveva solo un figlio, un bel bambino di nome Kurusiwari. Un giorno, mentre la madre tesseva un’amaca, il bambino si attaccò alla corda sospesa, allentandola; la donna, irritata, lo spinse di lato: il bambino cadde e si mise a piangere. La madre voltò appena la testa, e continuò il suo lavoro; anche il padre sentì il bimbo piangere, ma non vi badò. Allora Kurusiwari, offeso, si rialzò e si allontanò dalla casa dei genitori. Venne sera: il bimbo non era ritornato e i genitori cominciarono a preoccuparsi.
- Andiamo a cercarlo – disse il padre. – E’ tanto piccolo che forse non ha saputo ritrovare la strada di casa.
- La colpa è mia; - si lamentò la madre – l’ ho cacciato via e non ho guardato che direzione prendeva.
A lungo i due genitori cercarono il bambino, ma questi sembrava essere scomparso. Era già tarda sera quando, finalmente, videro il figlio che giocava tranquillamente con un altro bambino.
- Kurusiwari! – gridò la madre; e, a quella voce, i genitori dell’altro bambino uscirono dalla loro casa e invitarono i due sconosciuti a entrare.
L’invito fu accettato e i quattro si misero a discutere animatamente.
- E’ tardi, - disse alla fine il padre di Kurusiwari – moglie mia, prendi il bimbo e torniamocene a casa.
Uscirono tutti e quattro dalla casa chiamando i figlioli; ma non videro più nessuno; i due bambini erano scomparsi!
- Kurusiwari! – chiamava la madre disperata.
- Maturawari! – chiamava l’altra donna cercando il bambino.
Le ricerche ricominciarono; erano adesso quattro genitori alla ricerca dei loro due figlioli. Passò la notte, sorse il sole e i due bambini erano ancora introvabili. Alla fine le due madri gridarono insieme:
- Eccoli!
Infatti i bimbi stavano giocando tranquilli e allegri con un terzo bimbetto della loro età; sembravano riposati come dopo una notte di sonno. Alle grida delle due donne, i genitori del terzo bambino uscirono dalla loro casa e cominciarono a scambiare spiegazioni con i quattro arrivati fin lì. Quando si voltarono per cercare i bambini, questi erano scomparsi di nuovo.
- Kawaiwari! – gridò la terza madre. – Dove ti sei nascosto?
Erano adesso sei genitori che cercavano tre bambini; la ricerca durò molto a lungo. Alla fine, la seconda e la terza coppia, che avevano lasciato a casa altri figli, dovettero tornarsene indietro. Ma la prima coppia non volle desistere.
- Cercheremo anche i vostri bambini e li riporteremo a casa – dissero ai genitori addolorati. Così le tre coppie si separarono.
Per molto tempo l’uomo e la donna continuarono a cercare il piccolo Kurusiwari; ma tutto fu inutile: sembrava che i tre fanciulli fossero scomparsi per sempre. Passarono molti anni da giorno della scomparsa. Un mattino i due genitori, oramai vecchi, passeggiavano sulla riva del mare, quando videro giungere dai flutti tre bellissimi ragazzi che si tenevano per mano e ridevano felici. I tre giovinetti arrivarono davanti a loro e li guardarono con occhi ridenti. La donna riconobbe subito il figlio, benché fossero passati tanti anni:
- Kurusiwari, figlio mio! Finalmente ti abbiamo ritrovato!
- Si, - disse il ragazzo – sono proprio Kurusiwari e i miei compagni sono Maturawari e Kawaiwari. Avremo tanto desiderio di tornare a vivere nelle nostre case, ma oramai noi viviamo nel mondo degli dei e non possiamo più ritornare fra gli uomini. Però voi potrete chiamarmi ogni volta che vorrete, bruciando le foglie del tabacco.
Subito dopo i tre ragazzi si ripresero per mano e attraversarono il mare, scomparendo alla vista dei due vecchi. Tristi e desolati, i due poveretti tornarono finalmente alla loro casa; erano molti anni che non vi mettevano più piede, fedeli alla promessa fatta quando il loro bambino era scomparso.
- Foglie di tabacco! – ripeteva l’uomo. – Non conosco questa pianta dove mai potrò trovarla?
- Avremo capito male, - disse la donna – proviamo a bruciare altre foglie e forse finiremo per trovare quella giusta.
Il padre ascoltò il consiglio della donna; raccolse foglie di papaia, di cotone e di caffè: le bruciò con attenzione, ma non succedeva niente; facevano solo gran fumo e la gente intorno diceva:
- Poveretti! Il lungo vagabondare ha dato loro alla testa!
Alla fine l’uomo andò a cercare un vecchio che godeva fama di sapere tutto e di conoscere in nome di tutte le piante.
- Mio figlio ha parlato di foglie di tabacco, - si lamentò l’uomo – ma io non conosco questa pianta. Aiutami tu che sai tutto!
- Sì, - rispose il vecchio – Kurusiwari ha ragione. La pianta del tabacco esiste veramente, ma si coltiva soltanto nell’Isola delle Donne, che non permettono a nessuno di approdarvi.
- Che cosa debbo fare, allora?
- Puoi provare a mandarvi qualche uccello; se riesce a toccare terra, potrà raccogliere nel becco qualche semente di tabacco e portarlo al di qua del mare.
L’uomo ringraziò del consiglio, ma se ne andò avvilito, perché vedeva che molte difficoltà ostacolavano la realizzazione del suo desiderio. Tuttavia cercò un robusto airone e lo pregò di volare sopra il mare fino all’Isola delle Donne; l’uccello ebbe pietà di quell’uomo e partì subito. Passarono i giorni, ma l’airone non tornava; alla fine l’uomo si convinse che non sarebbe mai più tornato. Ben presto tutti seppero perché l’uomo cercasse le foglie della pianta sconosciuta e avrebbero voluto aiutarlo. Un giorno, un giovane andò da lui portando una gru.
- Forse – gli disse – l’airone non è stato abbastanza robusto per raggiungere a volo l’Isola delle Donne; ma la mia gru può volare per sette giorni senza provare stanchezza.
L’uomo ringraziò, commosso da tanta cortesia e aiutò la gru a cercarsi un posto comodo per dormire, proprio su uno scoglio che si protendeva sul mare. Poi tornò a casa e aspetto l’alba. Intanto sullo scoglio era arrivato un colibrì, amico della gru. Incuriosito le chiese che cosa stesse facendo.
- Mi sto riposando; spiegò il grande uccello – domani devo recarmi all’Isola delle Donne per prendere il seme del tabacco.
Il colibrì agitò le ali variopinte:
- L’Isola delle Donne! Ma non sai che le donne che vi stanno di guardia colpiscono con frecce chiunque osi avvicinarsi?
- Lo so, - rispose la gru tranquillamente – ma ho promesso di andare e andrò, qualunque cosa accada.
- E allora. – disse il colibrì – anch’io volerò con te fino all’Isola delle Donne. Forse potrò esserti utile.
Era appena l’alba, quando il piccolo uccello aprì le ali e iniziò il lungo volo; la gru dormiva ancora. Quando si svegliò, il colibrì non era più visibile. Il grande uccello si alzò in volo. Aveva già percorso metà del viaggio, quando vide il colibrì lottare con le onde del mare; il povero uccellino, stanco, era precipitato e stava per affogare. Subito la gru lo raccolse e lo posò sulle sue ali. Così in breve, arrivarono in vista dell’Isola delle Donne.
- Ora – disse il colibrì – tu continua a volare in tondo sopra l’isloa, senza abbassarti troppo, ma cercando di attirare l’attenzione delle donne. Io, intanto, entrerò nella piantagione e prenderò il seme del tabacco.
Quando videro la gru le donne levarono il viso verso l’alto, aspettando che si abbassasse per prenderla di mira. A un tratto la videro allontanarsi rapida e in breve la persero di vista. Intanto il colibrì aveva tranquillamente colto i semi del tabacco e, senza essere visto, aveva raggiunto di nuovo la sua amica, si era aggrappato alle sue ali e avevano iniziato il volo di ritorno. Si può ben immaginare la gioia del povero padre quando finalmente ebbe tra le mani i semi della prodigiosa pianta! Li seminò con ogni cura e ben presto i fuscti diventarono alti e si ornarono di grandi foglie verdi. L’uomo le raccolse, le fece asciugare al sole e, finalmente, potè bruciare e chiamare il figlio per mezzo del fumo profumato. Kursiwari, Maturawari e Kawaiwari insegnarono agli uomini molte cose riguardanri il tabacco e divennero i protettori delle piantagioni. E questa, raccontano i vecchi della Guiana, è la vera storia del tabacco e di come la pianta venne introdotta nel loro paese.
Tarassaco.
Tiglio
Tulipano
u

v Viola.
Vischio
Viburno - Viburno prunifolium, Famiglia Caprifoliacee
UNA FIABA boema, racconta di come un giovane generoso e caritatevole, di nome Lucindo, deciso a diventare re, lasciò la famiglia per seguire un mercante ebreo. In un lontano paese desertico il ragazzo sì imbatté negli spiriti dei defunti e, mosso a compassione, diede sepoltura ai corpi delle anime tormentate. Sulle tombe crebbe un cespuglio dai fiori bianchi, il viburno, e un pettirosso fatato disse a Lucindo che quei fiori l’avrebbero reso invincibile. il giovane ne colse qualcuno e proseguì il cammino. Giunse, quindi, in un regno che aveva perduto da poco il re ed era governato da dodici savi. Su quel paese gravava però la minaccia di un terribile drago con dieci teste, al quale ogni anno andavano sacrificati dieci giovinetti. Lucindo si offrì di andare ad affrontare il drago e, fiducioso nella protezione del fiore, per dieci volte riuscì a decapitare la mostruosa creatura, con il solo aiuto di un semplice bastone. Il popolo Io acclamò con tutti gli onori e lo incoronò re. L’amico ebreo rimase al suo fianco come consigliere e insieme erano soliti prendere le decisioni importanti passeggiando in giardino adorno di viburni
z Zafferano.
Zenzero.
Zucca.

SOLE E LUNA.
Perché il sole e la luna vivono in cielo.
Tanti anni fa il sole e l’acqua erano grandi amici, entrambi vivevano insieme sulla terra. Il sole andava a trovare l’acqua molto spesso, ma l’acqua non gli contraccambiava mai la visita. Alla fine il sole domandò all’acqua come mai non andava mai a trovarlo a casa sua. L’acqua rispose che la casa del sole non era sufficientemente grande, e se lei ci andava con i suoi famigliari, avrebbe cacciato fuori il sole. Poi l’acqua aggiunse:
- Se vuoi che venga a trovarti, devi costruire una fattoria molto grande, ma bada che dovrà essere un posto sconfinato, perché la mia famiglia è molto numerosa e occupa un molto spazio.
Il sole promise di costruirsi una fattoria molto grande, e subito tornò a casa dalla moglie, la luna, che lo diede ospitalità con un ampio sorriso quando lui aprì la porta. Il sole disse alla luna ciò che aveva promesso all’acqua, il giorno dopo incominciò a costruirsi una fattoria sconfinata per ospitare la sua amica. Quando essa fu pronta, chiese all’acqua di venire a fargli visita il giorno seguente. Nel momento in cui l’acqua arrivò chiamò fuori il sole e gli domandò se poteva entrare senza pericolo, e il sole rispose:
- Sì, entra pure, amica mia.
Allora l’acqua cominciò a riversarsi, accompagnata dai pesci e da tutti gli animali acquatici. Poco dopo l’acqua arrivata al ginocchio domandò al sole se poteva ancora entrare senza pericolo, e il sole rispose:
- Sì
L’acqua seguitò a riversarsi dentro. Allorché l’acqua era al livello della testa di in uomo, l’acqua disse al sole:
- Vuoi che la mia gente continui ad entrare?
Il sole e la luna risposero:
- Sì.
Risposero così perché non sapevano che altro fare, l’acqua seguitò ad affluire, finchè il sole e la luna dovettero rannicchiarsi in cima al tetto. L’acqua si rivolse al sole con la stessa domanda, ma ricevette la medesima risposta, e la sua gente seguitava a riversarsi dentro, l’acqua in breve sommerse il tetto, e il sole e la luna furono obbligati a salire in cielo, dove da allora sono rimasti.




1
L’albero dei poveri.
Filastrocca di Natale,
la neve è bianca come il sale,
la neve è fredda, la notte è nera
ma per i bimbi è primavera:
soltanto per loro., ai piedi del letto
è fiorito un alberetto.
Che strani fiori, che frutti buoni
oggi sull'albero dei doni:
bambole d'oro, treni di latta,
orsi dal pelo come d'ovatta, e in cima, proprio sul ramo più alto,
un cavallo che spicca il salto.
Quasi lo tocco... Ma no, ho sognato,
ed ecco, adesso, mi sono destato:
nel la mia casa, accanto al mio letto
non è fiorito l'alberetto.
Ci sono soltanto i fiori del gelo
sui vetri che mi nascondono il cielo.
L'albero dei poveri sur vetri è fiorito:
io lo cancello con un dito.
2
L’omino di neve.
L’omino di neve,
guardate che caso,
non ha più naso
e ha solo un orecchio:
in un giorno di sole
è diventato vecchio!
Chi gli ha rubato un piede? È stato il gatto,
bestia senza tatto.
Per un chicco di grano
una gallina
gli becca una mano.
Infine, per far festa,
i bambini gli tagliano la testa.
3
Non per tutti è domenica.
Filastrocca della domenica,
un po' allegra, un po' malinconica,
malinconica vuoi dire mesta:
non per tutti domenica è festa.
Non è festa per il tranviere,
il vigile urbano,
il ferroviere, non è domenica per il fornaio,
per il garzone del lattaio.
Ma tutti i giorni sono neri
per chi ha tristi pensieri;
per chi ha fame,
è proprio cosi:
ogni giorno è lunedì.
4
Il primo giorno di scuola.
Suona suona la campanella,
scopa scopa la bidella,
viene il bidello ad aprire il portone,
viene il maestro dalla stazione
viene la mamma, o scolaretto,
a tirarti giù dal letto...
Viene il sole nella stanza:
su, è finita la vacanza. Metti la penna nell'astuccio,
l'assorbente nel quadernuccio,
fa la punta alla matita
e corri a scrivere la tua vita.
Scrivi bene, senza fretta
ogni giorno una paginetta.
Scrivi parole diritte e chiare:
«Amare, lottare, lavorare.
5
L’ombrello.
Filastrocca per quando piove:
chi sta in casa non si muove,
io che in casa divento tetro
esco e il tetto mi porto dietro...
Un piccolo tetto di stoffa nera, con tante stecche messe a raggerà
O che fenomeno simpatico
vedere un tetto con il manico!
Cosi me ne vado bello bello
fischiettando sotto l'ombrello
6
Le stagioni.
Primavera è una giovinetta
con in bocca la prima violetta.
Poi vien l'estate,
nel giro eterno...
ma per i poveri è sempre inverno.
Vien l'autunno dalla montagna
ed ha odore di castagna.
Vien l'inverno dai ghiacciai
e nel suo sacco non ha che guai
7
I 12 Mesi.
Gennaio, gennaio,
il primo giorno è il più gaio,
è fatto solo di speranza:
chi ne ha tanta, vive abbastanza.
Febbraio viene a potare la vite
con le dita intirizzite:
è senza guanti ed ha i geloni
e un buco negli zoccoloni.
Marzo pazzo e cuor contento
si sveglia un mattino pieno dì vento:
la prima rondine arriva stasera
con l'espresso della primavera.
Aprile tosatore
porta la lana al vecchio pastore
spoglia la pecora e l'agnello
per farti un berretto ed un mantello.
Maggio viene ardito e bello
con un garofano all'occhiello,
con tante bandiere nel cielo d'oro
per la festa del lavoro.
Giugno, invece, è falciatore;
il fieno manda un dolce odore,
in alto in alto l'allodola vola,
il bidello chiude la scuola. Luglio miete il grano biondo,
la mano è stanca, il cuore è giocondo.
Canta il cuculo tra le foglie:
c'è chi lavora e mai non raccoglie.
Agosto batte il grano nell'aia,
gonfia i sacchi, empie le staia:
c'è tanta farina al mondo...
perché un po' di pane per tutti non c'è?
Settembre settembrino,
matura l'uva e si fa il vino,
matura l'uva moscatella:
scolaro, prepara la cartella!
Ottobre seminatore:
in terra il seme sogna il fiore,
sotterra il buio germoglio
sa che il sole domani lo scalderà.
Novembre legnaiolo
va nei boschi solo solo,
c'è l'ultima foglia a un albero in vetta
e cade al primo colpo d'accetta.
Vien dicembre lieve lieve,
-si fa la-battaglia a palle di neve:
il fantoccio crolla a terra
e così cade chi vuole la guerra!.
8
Primavera.
Conosco una città
dove la primavera
arriva e se ne va
senza trovare un albero
da rinverdire,
un ramo da far fiorire
di rosa o dì lillà.
Per quelle strade murate
come prigioni
la poveretta s'aggira
con le migliori intenzioni:
appende un po' di verde
ai fili del tram, ai lampioni,
sparge dei fiori davanti ai portoni
(e dopo un momentino
se li prende il netturbino,..),
Altro da fare
non le rimane,
per settimane e settimane,
che dirigere il traffico
delle rondini, in alto,
dove la gente
non le vede e non le sente.
Di verde in quella città
(dirvi il suo nome non posso)
ci sono soltanto i semafori
quando non segnano rosso.
9
Il Treno.
Seimila treni tutti pieni
per l'Italia se ne vanno
tutti i giorni di tutto l'anno!
Vanno a Milano, vanno a Torino,
a Siena, Bibbiena e Minervino,
vanno a Napoli e a Venezia,
a Firenze, Bari e La Spezia...
A Piacenza attraversano il Po
senza bagnarsi nemmeno un po',
e a Reggio Calabria, questo è il bello, anche i treni vanno in battello!
Che fila farebbero, a metterli in fila
uno dietro l'altro tutti e seimila!
E su ogni treno c'è un macchinista
che le rotaie non perde di vista.
Le locomotive non vanno da sole:
le ferma tutte, lui, se vuole!
Dunque signori, per piacere:
non fate arrabbiare il ferroviere...
….
10
Il treno di frontiera.
La frontiera voglio passare,
di là dai monti voglio andare,
dove i francesi per dire di si
dicono «oui!».
Quando sarò di là dal confine
troverò bambini e bambine tutte le lingue parleranno,
il russo, il tedesco, il turcomanno,
diranno, «Buongiorno» - io non capirò-
e «Buonasera» risponderò.
Ma poi rideremo insieme felici
e per sempre saremo amici.
11
Il treno dell’avvenire.
«Presto, signori, in vettura, si parte!
È pronto il rapido per Marte!
Proseguendo, verso le nove
faremo tappa a Venere e a Giove.
Sull'anello di Saturno cena,
teatro e ballo notturno.
Il Giro del Sole potremo fare,
sulla Via Lattea andremo a sciare, e incroceremo, senza timore,
il Gran Carro dell'Orsa Maggiore».
Una signora arriva adesso:
«Che disdetta, ho perduto l'espresso!».
«Niente paura, cara signora,
ce n'è un altro fra un quarto d'ora».
«Oh, io vo vicino, per fortuna:
prenderò il filobus per la Luna».
12
Il mare. La nave.
«Bella nave che vai sul mare,
quante cose puoi portare?»
Posso portare mille persone,
cento sacchi di carbone,
tre scialuppe ed una lancia
e un capitano con la pancia.
Corro in men che non ti dico dalla Cina a Portorico,
la tempesta ed il tifone
mi fanno il solletico al timone...
Ma se un giorno del malanno
di bombe e cannoni mi caricheranno,
sai che faccio per ripicco?
Colo a picco!
13
Si e No.
Io so le parole più corte del mondo;
una dice si, l'altra dice no.
Devi saperle bene adoperare
perché da sole possono contare
più di un milione di parolone.
Ma non c'è orologio per segnare l'ora di dir di si e l'ora di dir di no.
lo come faccio?
Ascolto il cuore,
è lui il mio suggeritore:
ascolto, capisco,
e senza alcun timore gli ubbidisco.

Stesura incompleta
1a correzione giugno 2010.

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